giovedì 21 Novembre 2024

Aldo Bianzino, morto dopo l’arresto per cannabis: dopo 14 anni nessuna verità

La sera del 12 ottobre 2007 Aldo Bianzino e la sua compagna Roberta vengono arrestati e trascinati fuori dal proprio casolare e portati in carcere per possesso illegale di marijuana. 48 ore dopo, Aldo sarà morto. A quattordici anni dalla vicenda, ancora troppe domande fondamentali rimangono senza risposta.

Aldo Bianzino, all’epoca 44 anni, è un falegname ebanista, un pacifista, dedito alle discipline orientali. Vive in un casolare a Pietralunga, sulle colline umbre, insieme alla compagna Roberta Radici, al figlio Rudra e all’anziana madre di Roberta. Qui Aldo coltiva dieci piantine di marijuana, per uso personale e terapeutico: Roberta ha infatti un tumore, che avrà la meglio su di lei nel 2009. Entrambe sono incensurati e lontani da qualunque giro di spaccio.

La sera del 12 ottobre quattro poliziotti e un finanziere bussano alla porta di casa Bianzino: dopo aver ispezionato la casa e rinvenuto la marijuana, gli agenti arrestano Aldo e Roberta e li conducono al carcere Capanne di Perugia. La motivazione della perquisizione, ordinata da un giudice, è ad oggi sconosciuta. In carcere i due vengono separati nelle sezioni maschile e femminile del carcere, e viene loro assegnato un avvocato d’ufficio. 48 ore dopo l’ingresso in carcere, tuttavia, Aldo sarà dichiarato morto.

La notizia sarà data a Roberta dopo l’avviso di scarcerazione e dopo essere stata interrogata sullo stato di salute di Aldo: soffre di svenimenti? Ha problemi di cuore? Il vice-ispettore capo di polizia che formula le domande le dice anche che proprio in quel momento stanno portando Aldo in ospedale e forse è ancora possibile salvarlo. Successivamente si scoprirà che al momento dell’interrogatorio a Roberta, Bianzini si trovava già in obitorio.

Da quel momento per la famiglia di Aldo inizierà il calvario giudiziario e burocratico che, a quattordici anni di distanza, non ha ancora permesso di fare luce sui fatti e portare giustizia. L’autopsia documenta traumi estesi su tutto il corpo, ematomi al cranio, costole rotte e danni agli organi interni: danni compatibili con un pestaggio messo in atto con tecniche militari. Il pm Giuseppe Pietrazzini, tuttavia, scarta quest’ipotesi: Aldo Bianzino è dichiarato morto a causa di un aneurisma, i traumi sul corpo sono le conseguenze della rianimazione messa in atto dagli agenti. Curiosamente, si tratta dello stesso magistrato che aveva richiesto la perquisizione in casa Bianzino.

L’eco di vicende come quella di Stefano Cucchi, Federico Aldovrandi o Giuseppe Uva è assordante. Dopo un processo durato otto anni, arriva la sentenza definitiva: l’agente Cantoro è stato condannato a un anno di carcere per omissione di soccorso, per non aver aiutato Bianzino che, secondo le testimonianze, ha urlato per tutta la notte chiedendo aiuto, prima di essere ritrovato esanime la mattina successiva. In rappresentanza della famiglia Bianzino è subentrato anche l’avvocato Fabio Anselmo, già legale di Cucchi e Aldovrandi.

Nel 2018 Rudra Bianzino, il figlio di Aldo, ha chiesto la riapertura delle indagini a seguito di nuove evidenze, che dimostrano che le lesioni interne di Bianzino sono avvenute due ore prima della morte, contraddicendo l’ipotesi di danni dovuti alla rianimazione. È auspicabile che questo porti finalmente a far chiarezza su tutti i lati rimasti ancora oscuri nella vicenda.

[di Valeria Casolaro]

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