Un nuovo sistema ideato con il fine di rimuovere la plastica dagli oceani è stato recentemente testato nel Great Pacific Garbage Patch, un enorme accumulo di rifiuti galleggiante situato nell’Oceano Pacifico, ed ha dato ottimi risultati a detta dell’Ocean Cleanup, l’organizzazione che lo ha messo a punto. Quest’ultima infatti ha dichiarato che “Jenny”, il soprannome con cui viene chiamato il sistema, ha raccolto 9.000 chilogrammi di plastica presenti nell’Oceano Pacifico ed ha aggiunto che per tale motivo ora è chiaro che «è possibile pulire il Great Pacific Garbage Patch». Anche Boyan Slat, il fondatore di Ocean Cleanup, ha accolto con grande entusiasmo la notizia ed ha affermato: «Ha funzionato tutto».
October 8th, 2021: the final test extraction of System 002, and the moment we knew that cleaning the Great Pacific Garbage Patch is possible. pic.twitter.com/79e1SiNz4h
— The Ocean Cleanup (@TheOceanCleanup) October 11, 2021
Jenny è essenzialmente una costa galleggiante artificiale: si tratta di una lunga barriera a forma di U che riesce a portare la plastica in una zona di ritenzione posizionata alla sua estremità. Due navi la trainano, e così la corrente oceanica spinge i rifiuti galleggianti verso la rete gigante. Una volta che la rete si riempie di plastica, un equipaggio la tira fuori dall’acqua e svuota la spazzatura su una delle due navi. La plastica raccolta, poi, viene riciclata: al momento, infatti, essa viene utilizzata per produrre occhiali da sole, ed i soldi guadagnati dalla loro vendita vengono usati per migliorare le operazioni di pulizia degli oceani.
Bisogna dire, però, che vi sono ancora alcuni dubbi legati a tale sistema. Innanzitutto esso cattura solo la plastica che galleggia vicino alla superficie degli oceani e non anche quella situata sul fondo. Inoltre Jenny ovviamente non impedisce alla plastica di entrare negli oceani, e dunque non è proprio un sistema perfetto. In tal senso Miriam Goldstein, direttrice della politica oceanica presso il think tank Center for American Progress, il mese scorso ha rilasciato un’intervista alla Reuters in cui ha affermato che «una volta che la plastica è entrata in mare aperto, diventa molto costosa e richiede molti combustibili fossili per estrarla di nuovo». E, infatti, le barche che trainano Jenny richiedono carburante, il che significa che c’è un costo ambientale legato a questo sistema.
Tuttavia, Ocean Cleanup ha affermato che sta «cercando modi per limitare e compensare le emissioni di carburante» che al momento è impossibile non utilizzare, ed anche lo stesso Slat ha ammesso che «ci sono ancora molte cose da migliorare». L’organizzazione, insomma, è consapevole delle criticità legate a tale sistema ma sembra intenzionata a porre rimedio ad esse e, dunque, continuare a perseguire il suo obiettivo, che è quello di arrivare a ripulire «il 90% della plastica galleggiante dagli oceani entro il 2040».
[di Raffaele De Luca]
il commento di Miriam Goldstein. è talmente stupido ma anche idiota che solo il managing director for energy and environment and the director of ocean policy at the Center for American Progress poteva dire…
un cognonme un perchè…