Come ogni fine anno, per il governo è tempo di prospettive e grandi manovre. Il 29 settembre è stata presentata la nota di aggiornamento al DEF (Documento programmatico di economia e finanza), mentre il 20 ottobre il governo ha presentato alle Camere la legge di bilancio per il 2022, che dovrà essere approvata entro dicembre. I due testi sono ovviamente legati. Il primo serve a delineare il quadro macroeconomico entro cui ci si muoverà fino al 2024, mentre la legge di bilancio indica le risorse precise che vengono impiegate sui singoli provvedimenti per l’anno prossimo ed eventualmente per gli anni successivi se su un capitolo di spesa è prevista una proroga.
Abbiamo appreso che la manovra 2021 costa 23 miliardi e contiene tra le varie cose riduzioni fiscali, incentivi per Pmi e Industria 4.0, il rifinanziamento del reddito di cittadinanza (in una forma probabilmente ristretta e ancora da decidere), del superbonus edilizio al 110% e di quelli al 65 e 50% per i condomini. Misure di sostegno anche alle case popolari. Aumentati gli investimenti pubblici. Fa capolino la riforma delle pensioni, ma in merito si discuterà ancora perché la Lega vuole vederci chiaro.
Sebbene sia una manovra generosa, da segnalare il peso deludente della spesa per la sanità, aspetto che L’Indipendente aveva già segnalato in questo articolo. In tre anni vengono stanziati in tutto 6 miliardi (una cifra assolutamente standard per l’Italia degli ultimi tempi), e dai 129 complessivi spesi nel 2021, si passerà a 123 miliardi nel 2023. Dunque si taglia invece che incrementare. Decisamente un controsenso, vista la situazione pandemica e la consapevolezza ormai acquisita che sulla sanità bisogna investire molto di più.
Debito e Pil. Cosa c’è da evidenziare
A balzare all’occhio è sicuramente l’impostazione espansiva anche da parte del governo Draghi. Nonostante, per cause di forza maggiore, il bilancio nel 2021 si attesterà su un deficit del 9,4%, l’esecutivo punta a un deficit alto anche nel 2022, al 5,6%, poi si comincerà a ridurre nel 2023 (3,9%), fino ad arrivare alla neutralità dei parametri europei nel 2024. Il risultato? Forse è sorprendente per chi non è avvezzo a certi concetti macroeconomici. Ma è scritto nero su bianco che ci si aspetta una riduzione del debito pubblico. Passerà dal 155,6% del 2020 al 153,5% nel 2021. Ancora giù nel 2022 al 149%, fino ad arrivare al 147% nel 2023. Crescerà anche il Pil. Stimato al 6% nel 2021 e al 4,7% nel 2022. Quindi a fronte di maggior deficit il debito pubblico può scendere? Proprio così. Si sa infatti che il debito è misurato in rapporto al Pil, e se questo aumenta più del deficit anche grazie alla maggior spesa statale, il disavanzo dello Stato sarà destinato a ridursi. La congiuntura favorevole è data anche dalla conferma che la Bce manterrà largo il suo bilancio, favorendo un minor costo degli interessi sui titoli del debito. L’inflazione sarà più alta rispetto agli ultimi tre anni (2% in media). Ma, badate bene, regola macroeconomica vuole che a maggiore inflazione corrisponda la diminuzione del peso debitorio.
L’altra faccia della medaglia
La spinta purtroppo è destinata a finire. Perché le maglie del Patto di Stabilità non saranno larghe per sempre. Nel Def si fa appunto riferimento all’obiettivo di riportare gradualmente il rapporto Debito-Pil il più possibile vicino al 60%, come vuole Bruxelles. Inoltre non si può rischiare di bruciare i fondi del Pnrr. I prestiti dovranno essere restituiti e se alla fine le stime sul Pil deluderanno, bisogna stare al sicuro sulle disponibilità di cassa. Al Pnrr sono condizionate riforme precise chieste dalla Commissione europea. Una è quella del fisco, che si sta approntando, un’altra è quella delle pensioni. Nella legge di bilancio infatti sono apparsi riferimenti generici alla previdenza. Quota 100 è al tramonto. La spesa per pensioni andrà alleggerita e si pensa all’anticipo pensionistico (Ape) con la sola quota contributiva a 63 anni d’età. Così si risparmia, poi si tratta di anticipi di cassa e per questo, di fatto, il costo è zero. Sul tavolo anche l’allargamento dell’Ape sociale, sempre a costo zero. La coperta, insomma, si allarga ma si prepara a restringersi nuovamente. I dati confermano quanto gli economisti contrari all’austerità propongono da anni: la spesa pubblica è la strada per uscire dalla crisi perpetua, ma le istituzioni europee sono ancora guidate da liberisti e fautori dell’austerità, dei quali Mario Draghi è fiero rappresentante ed esecutore.
[di Giampiero Cinelli]
Un ragioniere, senza alcuna lungimiranza.
Ma pronto a sacrificare tutto per la quadratura dei conti.
L’italia necessita obbligatoriamente di poche cose per sperare in un qualche ricupero economico.
Meno tasse, meno stato, meno burocrazia, meno leggi e regolamenti, più Libertà e responsabilità individuali, più libertà d’impresa.
E fuori da questa UE.