Il 29 agosto, nel pieno della fuga dall’Afghanistan, la situazione militare nell’aeroporto di Kabul era incandescente: un attentato di Daesh aveva causato una caotica carneficina e la tensione era alle stelle. In questo momento di panico, gli Stati Uniti non hanno saputo controllarsi e hanno applicato una strategia di attacco preventivo che li ha infine condotti a bombardare un dipendente di una no-profit pensando fosse un terrorista. Ora, col capo metaforicamente coperto di cenere, il Pentagono vuole compensare questa “svista” risarcendo le famiglie coinvolte con una cifra la cui entità non è stata rivelata, una risoluzione che però non risolve i problemi di fondo che sussistono nell’utilizzare i droni militari (UAV).
Nel caso specifico, il missile non ha mietuto il solo l’agente dell’ONG, ma anche tutta una serie di vittime collaterali, sterminando una famiglia di 10 persone che, comprensibilmente, ha premuto perché fosse portata avanti un’indagine e, soprattutto, che i responsabili venissero puniti. Ebbene, gli Stati Uniti sono disposti ad ammettere l’errore, ma non sono stati altrettanto aperti nel prendersi carico della colpa, ritenendo anzi che il loro attacco omicida fosse più che giustificato da una «ragionevole certezza» della pericolosità della situazione.
Non è colpa del comandante che ha dato l’ordine, dell’esecutore materiale e neppure dell’Intelligence che ha fornito i dati, semplicemente sono cose che capitano, sembra intendere il contesto. Un genere di incidenti in cui gli Stati Uniti incappano in maniera reiterata, se si considera che circa il 90% delle persone uccise dai droni siano vittime collaterali e non bersagli effettivi. La Difesa, d’altro canto, non nasconde il fatto di sentirsi innocente, anzi etichetta ufficialmente il risarcimento in questione come un «pagamento di condoglianza» effettuato «ex gratia», ovvero per mera benevolenza.
Si tratta di un modus operandi tipico degli Stati Uniti, i quali nel solo 2019 hanno coperto i loro errori pagando alle famiglie di 65 vittime innocenti cifre che si aggirano sui $6.000 a morto, un escamotage amministrativo che permette a Washington di rallentare i moti di sdegno che stanno crescendo attorno al controverso utilizzo dei droni bombardieri.
Non solo, nonostante la resa mediocre, l’uso letale degli UAV sta diventando velocemente un “must” per gli eserciti di tutto il mondo – anche l’Italia pare vi si stia conformando -, dettaglio che non può che venir fomentato dal fatto che ci si ostini a non considerare questi errori al pari di crimini di guerra e che anzi gli Stati escano dai loro massacri dipingendosi come generosi benefattori.
[di Walter Ferri]