Sui tavoli dell’Inps c’è una comunicazione passata quasi sotto silenzio che rischia di rivelarsi una bomba sociale. Con il Messaggio numero 3495 del 14 ottobre 2021 l’Istituto dice che, a decorrere dalla data del messaggio, recependo l’orientamento di diverse pronunce della Cassazione, l’assegno di invalidità può essere erogato solo a chi non lavora. Anche se si tratta di una occupazione precaria, anche se porta a casa meno di 5.000 euro l’anno (che era l’attuale limite).
Il testo fa riferimento all’assegno di cui all’articolo 13 della legge 118 del 30 marzo 1971, quello per ridotta capacità lavorativa o inabilità al lavoro. Nello specifico, non potranno più usufruire della pensione, i possessori di invalidità civile dal 74% fino al 99%, tra i 18 e i 67 anni d’età. Resta il beneficio per gli invalidi al 100%, purché non superino la soglia reddituale annua dei 16.982,49 euro.
Secondo la giurisprudenza, spiega l’Inps nel messaggio: “il mancato svolgimento dell’attività lavorativa integra non già una mera condizione di erogabilità della prestazione ma, al pari del requisito sanitario, un elemento costitutivo del diritto alla prestazione assistenziale, la mancanza del quale è deducibile o rilevabile d’ufficio in qualsiasi stato e grado del giudizio“. Si conclude: “Alla luce di tale consolidato orientamento, a fare data dalla pubblicazione del presente messaggio, l’assegno mensile di assistenza di cui all’articolo 13 della legge n. 118/1971, sarà pertanto liquidato, fermi restando tutti i requisiti previsti dalla legge, solo nel caso in cui risulti l’inattività lavorativa del soggetto beneficiario”. Il documento è a firma del direttore generale Gabriella Di Michele.
Dunque non verranno più considerati i limiti di reddito annuo entro i quali un invalido ha comunque diritto alla pensione anche se lavora. Attualmente 4.931,29 euro per gli invalidi parziali e 16.982,49 euro per gli invalidi totali (nel calcolo rientrano pure redditi derivanti da attività non lavorative, tollerati se non superano queste soglie). Secondo l’ente guidato da Pasquale Tridico, basta qualsiasi reddito, anche il più modesto che attesti la capacità di lavorare, per la decadenza del beneficio. Si tratta comunque, al momento, di un messaggio. Ovvero un tipo di comunicazione che non ha lo stesso valore di una circolare. I dipendenti Inps stanno aspettando la circolare per capire dettagliatamente come comportarsi. A ricevere aggiornamenti saranno anche uffici come i Caf e i Patronati, ora spaesati. L’attività o inattività verrà attestata consultando le liste di collocamento e altri archivi, come pure le auto-dichiarazioni sostitutive. Facilmente presumibile che alla luce di questa riforma vadano effettuate parecchie revisioni sui soggetti beneficiari, al fine di accertare il grado di invalidità attuale. Quindi non stupirebbe se passasse maggior tempo rispetto a quello indicato. Un messaggio esprime più una posizione in merito a qualcosa, piuttosto che una prescrizione esaustiva ed effettiva, che ci sarà non appena verrà emanata la circolare. Tuttavia l’ente pubblico non avrà certo la strada spianata. Si parla di proteste e ricorsi. Diverse associazioni per la disabilità hanno iniziato a protestare, ed il ministro per la Disabilità, Erika Stefani, le ha appoggiate affermando di essersi già attivata presso l’Inps per ottenere un ritiro del provvedimento.
Perché è una decisione sbagliata
Porre che il soggetto invalido non necessiti di una pensione siccome è in grado di lavorare, è un’idea ingenua. Bisogna considerare come, in qualche misura, tale individuo parta, e si trovi, ugualmente in una condizione svantaggiata. Data dal fatto che, al netto dell’attività svolta, diverse potenziali attività lavorative sarebbero a lui precluse, qualora ne avesse bisogno. Poi, va tenuto conto che le effettive condizioni di svantaggio, potrebbero aver condizionato la sua carriera lavorativa. Plausibile, che egli non abbia avuto modo e tempo per acquisire la migliore formazione possibile, tale da aspirare alle posizioni più gratificanti. Tempo e possibilità, ovviamente impiegate in cure mediche e terapie. Per le quali spesso spende cifre rilevanti. Che a tutto ciò consegua un reddito basso, è una supposizione ragionevole. Infine, non va sottovalutata l’istigazione al lavoro nero o a non lavorare, che la norma recherebbe. Per questi motivi, un attacco così palese ai diritti dei più fragili pare un’assurdità.
[di Giampiero Cinelli]
E se tutte queste proposte o rilettura della normativa attuale, fossero un pretesto per disincentivare l abuso e il ricorso ad assistenzialismo ingiustificato?
Reciteranno il solito mantra ” ce lo chiede leuropa” .