Il progetto “Forza Italia Viva” è ufficialmente diventato realtà, almeno in Sicilia. Solo qualche giorno fa, il leader di Italia Viva Matteo Renzi e Gianfranco Miccichè, Presidente dell’Assemblea Regionale Siciliana e dirigente di Forza Italia, si incontravano a cena a Firenze. Poi, il 26 ottobre, con una conferenza stampa a Palazzo dei Normanni, alla presenza dei capigruppo di Forza Italia e Italia Viva Tommaso Calderone e Nicola D’Agostino, è stata annunciata da Micciché la formazione di un intergruppo tra le due forze politiche, che a livello regionale contano complessivamente 16 consiglieri. L’obiettivo? Quello di correre insieme alle elezioni comunali di Palermo e alle Regionali del 2022.
L’accordo sarebbe stato siglato grazie alla fondamentale intermediazione di Marcello Dell’Utri, braccio destro di Berlusconi, che ha scontato 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa, e prevederebbe il coinvolgimento di Totò Cuffaro (che ha riesumato il simbolo della DC alle ultime comunali, alleandosi con Forza Italia), il quale ne ha scontati altrettanti per favoreggiamento alla mafia. Non proprio dettagli.
Il laboratorio politico in costruzione si propone di guardare oltre i confini siciliani, puntando direttamente a esercitare un’influenza su Roma rispetto alle mire di occupazione di quel “grande centro” che, come ciclicamente è accaduto negli ultimi decenni di storia repubblicana, fa gola a molti. Complici lo slittamento a destra di Fratelli d’Italia e della fazione meno governista della Lega e la pianificazione di una coalizione di stampo progressista che raggruppi il Pd e il “nuovo” Movimento 5 Stelle targato Giuseppe Conte, il momento sembra propizio.
D’altronde, la liaison tra Matteo Renzi e Silvio Berlusconi è nata in tempi non sospetti: nel lontano 2010, l’allora sindaco di Firenze già incontrava in segreto ad Arcore il Cavaliere; quattro anni dopo, quando Renzi ricopriva la carica di segretario del PD, i due siglarono il famoso “patto del Nazareno”, inerente il progetto di modifica del sistema elettorale con l’Italicum (poi bocciato dalla Corte Costituzionale) e una maxi-riforma della Costituzione che, effettivamente, dopo la rottura dell’accordo da parte del Cavaliere, venne realizzata ma fu fragorosamente respinta dal popolo italiano in occasione del referendum del 2016; negli ultimi anni, Renzi ha più volte difeso Berlusconi nel suo ruolo di imputato, sia in merito all’inchiesta fiorentina sui mandati esterni delle stragi di mafia del 1993 (“vedere che qualche magistrato della procura della mia città da anni indaghi sull’ipotesi che Berlusconi sia responsabile persino delle stragi mafiose o dell’attentato a Maurizio Costanzo mi lascia attonito, significa fare un pessimo servizio alla credibilità di tutte le istituzioni italiane”) sia sulla recente richiesta del tribunale di Milano di una perizia medica nei confronti di Berlusconi nell’ambito del processo Ruby-ter (“chiedere una perizia del genere assume i contorni di una inutile, sguaiata provocazione, non si fa altro che confermare che in questi anni c’è stata una persecuzione”).
Ed effettivamente, analizzando le questioni di merito, il pensiero e l’azione politica dei due leader risultano caratterizzati da una lunga serie di similitudini: “garantismo” sfrenato e critica continuativa alla cosiddetta “giustizia ad orologeria” di una presunta magistratura politicizzata, narrazione europeista e antitetica alla retorica sovranista, attacco agli “inesperti” della politica, appoggio al piano delle grandi opere (con il Ponte sullo stretto di Messina come sogno comune), assalto allo Statuto dei Lavoratori (concretizzato da Renzi con l’abolizione dell’Articolo 18 nel 2015), innalzamento del tetto del contante, proposta di leggi “antimafia” criticate a più riprese dagli stessi magistrati impegnati nella lotta alla criminalità organizzata, sostegno ai referendum sulla giustizia promossi negli ultimi mesi dai radicali e dalla Lega. E si potrebbe continuare.
Intanto, si lavora sottobanco alle alleanze per l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica. I partiti di centro-destra hanno già espresso il nome del loro candidato: Silvio Berlusconi, il quale, se davvero dovesse essere eletto, sarebbe il primo pregiudicato a sedere sullo scranno più alto della Repubblica italiana. La nuova immagine di anziano e moderato europeista, nonché di strenuo difensore delle politiche draghiane anti-Covid, ha progressivamente reso le varie forze politiche centriste e riformiste più propense a valutare l’ipotesi.
Se Draghi verrà “conservato” come garante della maxi-alleanza a supporto dell’attuale esecutivo, i partiti avrebbero forse la possibilità di tirare a campare fino alla fine della legislatura. Se, invece, sarà uno tra Silvio Berlusconi e l’attuale primo ministro a salire al Colle, la già traballante unità del governo sarebbe compromessa e il momento delle elezioni potrebbe avvicinarsi a grandi passi. Allora, i contenuti degli accordi stretti nella penombra di questi mesi di transizione usciranno allo scoperto.
[di Stefano Baudino]
Certo che i cabarettisti in politica non mancano!