Limite di riscaldamento globale fissato ad 1,5°C, riduzione delle emissioni di anidride carbonica del 45% entro il 2030 e zero netto intorno la metà del secolo. Importanza del ruolo dei giovani, delle comunità indigene e della natura nella lotta alla crisi climatica. E ancora, addio al carbone e richiesta di “profonde riduzioni nelle emissioni di gas serra che non siano anidride carbonica”. Queste, a grandi linee, le conclusioni emerse dalla seconda bozza del testo finale del vertice sul clima pubblicata questa mattina. Un complesso di buoni propositi che, tuttavia, non sfugge ancora alle critiche degli ambientalisti. Questi, infatti, hanno chiesto misure più concrete e messo l’accento su dei cambiamenti apportati al testo rispetto alla prima versione.
In relazione alla decarbonizzazione, nella prima bozza pubblicata due giorni fa, effettivamente, si chiedeva ai paesi di “accelerare l’eliminazione graduale del carbone e dei sussidi per i combustibili fossili”. Richiesta che, nell’ultima versione, è poi diventata “accelerare l’abbandono graduale dell’energia a carbone unabated – cioè quello non accompagnato da sistemi di riduzione delle emissioni – e dei sussidi inefficienti per i combustibili fossili”. Differenze che non sono passate inosservate e tutt’altro che viste di buon occhio da Greenpeace secondo cui «la parte chiave del testo è stata gravemente indebolita». In riferimento agli obiettivi climatici, hanno poi aggiunto «siamo passati dall’”esortare” i governi a rafforzare i loro target climatici per il 2030, al semplice “richiedere” che lo facciano entro il 2022». Considerando che le differenze tra i due testi dipendono dalle richieste avanzate dai Paesi partecipanti dopo la lettura della prima bozza, secondo la nota organizzazione ambientalista ci sarebbe ancora lo zampino delle lobby dei combustili fossili.
Tuttavia, sebbene indebolita, è la prima volta che l’eliminazione graduale delle fonti inquinanti è stata inclusa come intenzione dichiarata in una Conferenza delle Parti, tant’è che non ci si aspettava sopravvivesse alla riformulazione considerando, soprattutto, la tempestiva opposizione dei principali Paesi produttori di petrolio. Altri punti a favore, l’introduzione esplicita della parola “metano” e una maggiore enfasi al ruolo cruciale delle popolazioni indigene. Nel complesso, il vertice sul clima potrebbe anche non aver soddisfatto le aspettative, ma rappresenta comunque un decisivo passo avanti. Basti pensare, ad esempio, all’alleanza tra Cina e Stati Uniti per favorire una rispettiva riduzione delle emissioni climalteranti. Se alle parole seguiranno i fatti è tutto da vedere, ma che due superpotenze notoriamente in contrapposizione politica abbiano annunciato congiuntamente l’intenzione di agire contro la crisi climatica resta, indubbiamente, un forte messaggio. Va detto inoltre che, se troppo drastica, come effettivamente sarebbe necessario, la Cop semplicemente fallirebbe del tutto. Che lo si voglia o meno, infatti, gli interessi in ballo sono tanti, meglio quindi addolcire gradualmente la pillola.
Eppure nemmeno la giovane Greta Thunberg, icona dell’attivismo climatico contemporaneo, si è trattenuta dal muovere pesanti critiche agli esiti del vertice. Già venerdì scorso, senza mezzi termini, ha definito la Cop26 «un fallimento», in particolare, in relazione alla mancanza di immediate e drastiche misure che portino a consistenti riduzioni annuali delle emissioni. Secondo un rapporto dell’Agenzia internazionale dell’energia, nel caso in cui tutti gli impegni assunti dalla comunità internazionale nell’ambito del vertice venissero rispettati, si riuscirà a mantenere l’aumento della temperatura terrestre circa a +1,8° rispetto ai livelli preindustriali. Quindi, il target degli 1,5°C verrebbe sì disatteso, ma c’è da dire che gli scienziati climatici comunque raccomandano un contenimento non superiore ai 2°C. Tuttavia, secondo un’altra ricerca firmata in questo caso dal Climate Action Tracker, tenendo conto delle dichiarazioni, anche non vincolanti, dei paesi partecipanti alla Cop26, la temperatura aumenterà di oltre 2,4°C entro la fine del secolo.
In definitiva, riepiloghiamo. Sono stati stanziati 12,2 miliardi di dollari allo scopo di fermare la deforestazione entro il 2030 dove, sebbene sorprenda l’adesione del Brasile di Bolsonaro, pesa l’assenza dell’Indonesia dell’olio di palma. Novanta paesi hanno poi firmato l’accordo per ridurre le emissioni di metano del 30% entro il 2030, pur gravando la mancata partecipazione di Cina, Russia ed India. È emerso, inoltre, un impegno finalizzato alla chiusura delle centrali a carbone, dove rincuora la partecipazione della Polonia ma scoraggia l’assenza delle principali potenze inquinanti. E ancora, stop ai sussidi pubblici a Paesi terzi per infrastrutture basate sui combustibili fossili. Una misura notevole, quest’ultima, sebbene firmata da appena 20 tra nazioni ed istituzioni finanziarie.
Tra le principali criticità vanno invece citati gli aiuti economici che i paesi in via di sviluppano aspettano dal 2009: 100 miliardi di euro all’anno per far sì che possano affrontare la transizione energetica. Senza mai ottenere nulla, i paesi meno sviluppati, infatti, da tempo chiedono che le economie avanzate, responsabili delle emissioni accumulate dal 1750 a oggi, compensino anche i danni provocati dai disastri climatici e si facciano carico delle spese richieste dalla conversione alla sostenibilità. Se i paesi del Nord del mondo ancora una volta deluderanno le loro aspettative, c’è il rischio che 120 delegazioni legate ai Paesi vulnerabili si oppongano facendo fallire la Cop26. Una strada questa tentata da diversi negoziatori sauditi venerdì scorso, i quali hanno cercato di bloccare le trattazioni in corso sulla stesura della cosiddetta “decisione di copertura” per il testo finale, facendo pressioni affinché le misure di sostegno ai paesi poveri e vulnerabili da parte di quelli più ricchi venissero annullate. Il fatto che una nazione storicamente legata all’industria fossile possa aver influenza la dice lunga sull’autenticità delle decisioni prese al vertice. Così come insospettisce l’elevato numero di delegati accreditati al summit e legati al settore del petrolio e del gas. Tuttavia, in ultima analisi, se la Cop26 sia stata un successo o il solito “bla bla bla” aspettiamo a dirlo.
[di Simone Valeri]