domenica 22 Dicembre 2024

Il potere, la lepre e la tartaruga

Pochi libri sono interessanti, nei tempi che stiamo vivendo, quanto “Il potere” di James Hillman (Rizzoli 2003), dove il potere, legato al business come suo oggetto privilegiato, diventa principalmente un modo di pensare. Pensare in un’epoca in cui la religione monoteistica prevalente è l’economia, dove ogni decisione è subordinata al profitto, dove le relazioni interpersonali, anche quelle affettive, sono gestite in termini di tattica e strategia, come se si fosse in perenne stato di allarme o di guerra. Ora ci stiamo davvero rendendo conto come pensiero unico e potere accentrato siano indispensabili l’uno all’altro.

Le cose, però, considerate ad esempio con la psicologia cognitivista di Guy Claxton, (“Il pensiero lepre e la mente tartaruga”, Mondadori 2002) potrebbero andare un po’ diversamente. Il pensare fronteggia il capire, le modalità sintetiche che portano a decisioni si oppongono a quelle analitiche che privilegiano il riflettere, il meditare, il ponderare. La razionalità esecutiva del linguaggio algebrizzato collude con la tempistica dell’intuito e della sorpresa, il calcolo con le sue proiezioni e previsioni trasforma tutto in bilancio, mentre la comprensione è un processo che non si può dare termini ultimativi.

C’è insomma una ermeneutica del potere, uno svelamento possibile, il convergere e divergere di forze che operano incessantemente. Sembra quasi che la speranza sia dell’ordine di grandezza dell’intuito, dell’ispirazione, mentre il risultato, l’obiettivo appartengano alle modalità di un potere che pensa ma non capisce. Che non è interessato a capire ma a raggiungere certi scopi, con quell’ accanimento e quella precisione tipici dell’ossessione totalitaria.

Chi governa è come l’amministratore delegato di una squadra di calcio, gli interessa il costo dei giocatori e il risultato. Ma si dimentica il ruolo dell’allenatore, il bisogno di fare squadra, il posto sacro dello spogliatoio che è come il letto di una coppia.

E la lepre, e la tartaruga? La prima pensa, decide, esegue, usa un linguaggio pratico, privo di coloriture, asciutto ma in fondo ambiguo. Non si interessa delle risposte che potrebbe ricevere, non mette in discussione nulla, pensa e agisce coi decreti legge, comanda, usa l’indicativo, l’imperativo, non lascia spazi. Le interessa il segno di assenso non la risposta. La tartaruga invece è sorniona, ha capito che esistono delle priorità, aiuta la verità a uscire allo scoperto. Le piace il condizionale, è tollerante ma non stupida. Magari vorrebbe correre, arrivare rapidamente a risultati , ma sa che molto è già scritto. Sa aspettare, sa che le nuvole sono formate da energie sottili.

Chissà, a voler essere ottimisti a tutti i costi, dovrebbe finire come quel simbolo dell’estremo Oriente, il trampoliere poggiato sulla tartaruga. Capire e comprendere che si condizionano e sono alleati. Questo però non è il caso di oggi, ci sono troppe lepri in giro. Ma, nel bene e nel male, è stagione di caccia.

[di Gian Paolo Caprettini – semiologo, critico televisivo, accademico]

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