Siamo passati dall’aver sconfitto la povertà all’insofferenza verso la povertà? A ripassare le dichiarazioni più disparate sul Reddito di Cittadinanza sembrerebbe di sì. Ma qualche approfondimento sui dati del Reddito di Cittadinanza, forse, può aiutare a capire meglio senza finire sempre nelle polemiche di quart’ordine. Chi lo prende? Dove vive? E, soprattutto, è un problema così diffuso quello delle truffe o solo un’arma politica usata a sproposito da chi avversa la misura? E ancora, cosa ci rivelano le indagini della Guardia di Finanza e dei Carabinieri? Domande che non faremo ai cosiddetti esperti né tantomeno ai politici, ma ai numeri.
Avere la dimensione reale della platea completa, ma soprattutto dove vive questa platea, aiuta anche a capire cosa significano le notizie di cronaca riguardo, ad esempio, le truffe di cui abbiamo letto nei giorni scorsi. Di che percentuali parliamo? E perché, ad esempio, la mega truffa è stata scoperta in Lombardia; una delle regioni più ricche e con più occupati d’Italia?
Chi percepisce il Reddito e quante sono le truffe
Pasquale Tridico, presidente dell’Inps ha detto all’Ansa: «Su oltre tre milioni di persone interessate (in media 1,5 milioni di nuclei – ndr) due terzi sono minori, disabili e anziani. Il 75% delle persone interessate dal Reddito non ha mai lavorato e chi lo ha fatto ha avuto poche settimane di lavoro». L’altro terzo è composto da persone con tassi di scolarizzazione molto bassi e non in grado di essere stabilmente occupati. Inoltre un dato della Guardia di Finanza rivela che il pericolo di truffe si aggira su una percentuale non superiore all’1%. Questo significa che in un anno su oltre un milione e mezzo di nuclei percettori si può avere una quantità di truffatori poco superiore a 20.000 unità. È così difficile prevenire e controllare una media così bassa di possibili casi sospetti? Fonti Inps contano i nuclei “decaduti dal diritto”, dall’aprile 2019 al settembre 2021, in 583.000. Tra le motivazioni più frequenti “l’accertamento per mancanza del requisito di residenza/cittadinanza” e casi in cui cambia la composizione del nucleo famigliare. Questo su una platea di circa 4 milioni di nuclei interessati dal 2019 ad oggi.
Comparando soltanto questi dati è evidente che stiamo dibattendo del nulla. Chiaro che la truffa, così come qualsiasi altro comportamento illecito, va perseguita e i responsabili, anche se si contassero con le dita di una mano, indubbiamente vanno sanzionati. Ma se cerchiamo di guardare al fenomeno nella sua dimensione reale dobbiamo andare su un’altra scala di osservazione.
Cosa ci dicono i dati sul RDC
Inutile aggiungere che i dati vanno sempre interpretati e comparati in modo critico. Di per sé sono muti. Per farli “parlare”, costringerli a dire di più, a confessare ciò che non appare nell’immediato, occorre fare qualche sforzo. In un caso come questo del Reddito di Cittadinanza è scontato che dobbiamo compararli ai dati dell’occupazione, se partiamo dal principio che stiamo tentando di lenire i problemi della povertà economica per mancanza di lavoro e quindi di reddito. Noi italiani sappiamo – per costituzione – che le regioni del Sud sono più povere di quelle del Nord e soffrono più di altre della disoccupazione di breve e lungo termine. In effetti la fotografia che l’Istat ci restituisce riguardo gli occupati dai 15 anni in su, per regione, ce le elenca inesorabilmente da anni: sotto la media italiana ci sono la Liguria, l’Abruzzo, la Basilicata, il Molise, la Sardegna, la Puglia, la Campania, la Calabria e la Sicilia. Niente di sorprendente.
Ora se le cose andassero per il verso giusto, a questa classifica dovrebbe corrispondere la classifica di intervento per l’inclusione sociale distribuito similmente almeno tra la maggioranza delle regioni più povere e con più disoccupati. Quindi calcoliamo dai dati dell’ultimo Report dell’Inps disponibile la distribuzione percentuale per regioni dei nuclei richiedenti Reddito/Pensione di Cittadinanza del 2020 (perché è l’unico anno completo). Risultato? La corrispondenza è quasi univoca.
Il reddito/pensione, infatti, va dove deve andare – almeno in linea di principio secondo i nostri presupposti di indagine – ma qualcosa non torna per la Lombardia e il Lazio (probabilmente per Milano e Roma, città con milioni di abitanti) e non torna per le regioni più piccole (Liguria, Abruzzo, Basilicata e Sardegna). È evidente che c’è qualche distorsione nella distribuzione – e questo spiegherebbe anche perché le forze dell’ordine hanno trovato la truffa, relativamente più diffusa, in Lombardia – e soprattutto indicherebbe che se c’è da discutere sul tentativo di inclusione sociale non è sulle truffe o percentuali di ipotetiche truffe, che appaiono evidentemente fisiologiche, ma sui meccanismi di distribuzione che, invece, dovrebbero essere raffinati per andare a lenire le situazioni di vera povertà ed esclusione sociale. Al netto del fatto che l’Inps è autorizzata a fare verifiche più approfondite, incrociando le informazioni contenute nelle banche dati di Regioni, Comuni, Aci, Agenzie delle Entrate, ministero della Giustizia e non solo, più che di truffa diffusa siamo, al solito, finiti alla fuffa.
[di Antonio Gesualdi]
Grazie per l’onesto lavoro di indagine.