Il lavoro da remoto non è certamente una novità portata dalla situazione pandemica. In principio fu il telelavoro, nato negli anni Ottanta del secolo scorso, pensato per far lavorare comodamente le persone da casa. Il sogno di molte persone era poter lavorare da casa, senza bisogno di spostarsi per lunghi tragitti, evitare persone sgradite, poter lavorare vestiti in maniera comoda (magari in pigiama o in mutande) e senza la pressione e le ire del capo ufficio: tutto il lavoro al sicuro e comodo nella propria abitazione. Poi, col tempo, le tecnologie si sono sviluppate e, secondo la narrazione dominante, il lavoro può essere potenzialmente svolto ovunque tramite uno dei tantissimi dispositivi portatili. Per questo il termine è mutato da telelavoro a lavoro in remoto. Ma anche altri avevano un sogno, ed era inconfessato: riduzione dei costi, disgregazione della forza lavoro e della sua capacità di organizzazione e azione in forma aggregata, pervasivo controllo di spazio, tempo e comportamenti dei lavoratori.
In tal merito, l’inquietante fatto giunge dagli Stati Uniti e coinvolge gli “avvocati a contratto” che lavorano a tempo e da remoto per gli studi legali che li assumono di volta in volta per specifiche cause. Questi professionisti del settore legale vengono assunti per setacciare migliaia di documenti, oscurando informazioni sensibili ed evidenziando dettagli rilevanti di cui gli avvocati potrebbero aver bisogno mentre discutono un caso; gli studi legali li assumono in base alle necessità e li abbandonano appena non servono più. Questi “sottoavvocati” lavorano da remoto e un software gestisce il loro accesso e controlla i loro comportamenti.
Ogni mattina, gli avvocati scansionano il loro volto in modo che la loro identità possa essere verificata minuto per minuto. Il software utilizza la webcam usata dal lavoratore per registrare i movimenti del viso e l’ambiente circostante, inviando un avviso se l’avvocato scatta foto di documenti riservati, se persone non autorizzate entrano nella visuale oppure se smette di prestare attenzione allo schermo: se l’avviso inviato dal software non viene ascoltato, il lavoratore viene estromesso. Gli avvocati hanno affermato di essere stati esclusi dal lavoro se solo si spostavano sulla sedia, se distoglievano lo sguardo per un momento, se aggiustavano gli occhiali o i capelli, oppure per cose innocue – che il software non reputava tali – come tenere in mano una tazza di caffè (scambiata per una telecamera non autorizzata), un parente che parla in sottofondo, cani e gatti che entrano nell’inquadratura della webcam e che vengono scambiati per soggetti non autorizzati.
Inoltre, il software sembra avere problemi se la qualità della webcam del lavoratore non è buona, se la quantità e qualità di luce dell’ambiente non è adeguata ma anche problemi di tipo razziale. Loetitia McMillion, avvocatessa nera a contratto che vive a Brooklyn, ha detto: «Si blocca continuamente e dice che non mi riconosce; in realtà, no, è la stessa faccia nera che ho da qualche decennio ormai». Secondo le statistiche dell’American Bar Association e della National Association, le persone di colore costituiscono circa il 15% di tutti gli avvocati negli Stati Uniti ma, al contempo, sono il 25% degli avvocati a contratto. Molti hanno affermato di temere che le loro valutazioni delle prestazioni e la potenziale futura occupabilità potrebbero risentire esclusivamente di questi “difetti di progettazione”. E certamente non è il primo caso di software di riconoscimento facciale con problemi di tipo razziale.
Ma gli avvocati a contratto non sono certamente l’unica categoria di lavoratori che subisce un monitoraggio continuo e costante: addetti alle consegne, centralinisti dei call center, autisti etc, sono sempre più spesso valutati da software di analisi facciale e/o vocale, che secondo i loro datori di lavoro possono aiutare le aziende a verificare l’identità, le prestazioni o la produttività dei lavoratori. Adesso, anche le università hanno iniziato ad adottare sistemi simili di controllo per monitorare gli studenti durante gli esami: Verificient Technologies offre questi servizi agli istituti universitari e Rahul Siddharth, cofondatore e capo delle operazioni di Verificient, ha affermato che la società ha assistito a una rapida crescita durante la pandemia.
[di Michele Manfrin]
Sono terrorizzata da come gente senza scrupoli possa utilizzare un certo tipo di tecnologia per ridurre i lavoratori e la popolazione tutta in schiavitù. Non è questo il mondo in cui mi immaginavo di vivere.
Sempre meritevoli di attenzione gli articoli di Michele Manfrin, grazie!