Sono migliaia i tunisini che da giorni protestano contro il presidente Kais Saied e il suo modo di gestire il paese al grido di “Fermate Kais Saied, libertà!”. La loro marcia verso il Parlamento è stata bloccata da centinaia di poliziotti che hanno impedito l’accesso al palazzo del Bardo, nella capitale, e il cui operato ha generato tensioni e scontri. I manifestanti chiedono a gran voce un regime democratico e nuove elezioni, questa volta libere e volute.
“Non accetteremo un nuovo dittatore, non ci tireremo indietro”, ripetono i tunisini. “Siamo sotto il governo di un solo uomo dal 25 luglio. Rimarremo qui fino a quando non apriranno le strade e porranno fine all’assedio”, ha ribadito all’agenzia di stampa Reuters Jawher Ben Mbarek, uno dei leader delle proteste.
Saied ha preso definitivamente il potere con un colpo di stato, interrompendo quello che per la Tunisia sembrava essere un buon periodo per avviare un’efficace transizione democratica. Quello di Saied, un uomo estraneo all’ambito militare (al contrario di molti dittatori) e proveniente invece dall’universo scolastico (ex professore di diritto costituzionale), doveva essere un totale cambio di rotta politico. A suo dire, si sarebbe impegnato a combattere la corruzione. Tuttavia, a quattro mesi dal colpo di stato, non vi è ancora alcun piano alle porte che preveda, ad esempio, dialogo con i partiti e una strategia economica solida, in un paese ancora sommerso dai debiti. Anzi, al contrario, poco dopo la presa di potere alcuni politici e funzionari sono stati rinchiusi ai domiciliari o obbligati a rimanere nel paese. Misure ora in gran parte revocate, ma emblematiche di un clima di privazione e restrizioni. Destino subìto anche da due emittenti televisive vicine ai principali partiti: chiuse per esercizio senza licenza.
Per Saied si prospetta un periodo difficile, con un’opposizione che acquista forza giorno dopo giorno e un popolo, quello tunisino, non più disposto a rinunciare alla democrazia. La riconquista della libertà non sarà facile, soprattutto dopo le ultime manovre del presidente che, il 25 luglio scorso, ha assunto su di sè l’autorità esecutiva. Decisione a cui hanno fatto seguito una serie di “misure straordinarie” come la rimozione dal suo incarico del primo ministro di Hichem Mechichi e la sospensione dell’attività del Parlamento (prorogata ancora il 22 settembre). Azioni che Saied ha commentato come necessarie per salvare le istituzioni statali tunisine e i diritti del popolo stesso.
“Vogliono tornare al normale processo legislativo. Vogliono tornare alla Costituzione del 2014. Vogliono che Kais Saied si dimetta e che si tengano nuove elezioni”, ha detto ad Al Jazeera la giornalista Elizia Volkmann. Secondo gli economisti il debito del paese è pari a circa il 90 per cento del prodotto interno lordo e il valore della valuta locale (il dinaro) è diminuito. Come ha detto al Manifesto Ben M’barek, costituzionalista e docente, “Penso che Saied non abbia i mezzi per continuare e il suo colpo di Stato sia condannato. La situazione economica e finanziaria del Paese è catastrofica”.
[di Gloria Ferrari]