A causa di un’asta pubblica indetta dalla Provincia di Grosseto 950 ettari di terreno situati nell’omonimo comune – di cui 200 nella Riserva Naturale Diaccia Botrona e 750 nell’adiacente Padule Aperto – sono stati acquistati per circa 6 milioni e mezzo di euro da un privato che probabilmente li trasformerà in un uliveto. Il trasferimento di proprietà però non è ancora stato formalizzato, motivo per cui alcune associazioni ambientaliste hanno lanciato una petizione con la quale chiedono che l’area rimanga pubblica.
All’interno della petizione, al momento firmata da quasi 34.000 persone, si legge che le associazioni sono preoccupate per la privatizzazione di «un’area di grandissima importanza internazionale», che dovrebbe restare di proprietà pubblica così da raggiungere «obiettivi diversi». In tal senso vengono citati quelli «previsti dalla Strategia della UE per la biodiversità per il 2030», nella quale «si parla anche di rinaturalizzazioni». Proprio per questo, i firmatari ritengono sia «paradossale rischiare di trasformare ambienti che naturali già lo sono, per effetto della loro privatizzazione».
Inoltre se quest’ultima si concretizzasse secondo le associazioni «verrebbe meno una visione unitaria nella gestione della Riserva, come invece previsto dalla delibera n. 73 della Giunta Provinciale del 24/05/2006». In più, «anche per le aree non ricomprese nella Riserva Naturale e oggetto di attività agricola l’unica attività compatibile con l’ambiente è la coltivazione estensiva di cereali e piante erbacee, ed un loro utilizzo diverso dall’attuale andrebbe a vanificare alcuni dei risultati conseguiti nel tempo».
Detto ciò, come riportato da alcuni quotidiani locali l’acquirente trovatosi nell’occhio del ciclone è Pompeo Farchioni, presidente dell’azienda produttrice di olio di oliva Farchioni Olii nonché proprietario all’80% de La Pioppa srl, società agricola attraverso cui è stata conclusa l’operazione. Egli però ha rigettato le accuse, e sulla possibile trasformazione dei terreni in un uliveto ha affermato che la volontà sia quella di convertirli integralmente a coltivazione biologica e che l’olivicoltura rappresenti un’ipotesi concreta ma non ancora una certezza. «Possiamo mantenere le colture cerealicole o di orzo oppure puntare di più sull’olivicoltura» ha dichiarato in tal senso Farchioni, il quale dal canto suo sostiene che l’ulivo sia «l’unica coltivazione arborea che ha un bilancio positivo rispetto all’anidride carbonica».
[di Raffaele De Luca]