Dopo anni di trattative, c’è l’accordo. I rappresentanti di Inter e Milan hanno incontrato l’amministrazione comunale per gettare fondamenta più concrete per il nuovo stadio “Giuseppe Meazza” di San Siro. L’idea è un progetto mastodontico che va ben oltre le finalità calcistiche. Le due squadre chiedono, infatti, due centri commerciali, dei grattacieli per uffici, un grattacielo per un hotel e un centro congressi. Cemento e consumismo sono quindi le parole chiave dietro l’intenzione, non troppo mascherata, di speculare grazie ad un’infrastruttura tutt’altro che necessaria. I comitati di quartieri sono contrari al progetto in quanto temono il caos che ne deriverebbe, così come lo sono i Verdi, i quali, tuttavia, puntano alla mediazione e pensano a un referendum civico.
Il problema principale riguarderà il consumo di suolo. Tra il 2006 e il 2020, in Italia, sono stati cementati oltre 1.000 chilometri quadrati di terreno in più e, tra il 2012 e il 2020, altri 446. Secondo l’ultimo rapporto del Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente (Snpa), a subire l’incremento maggiore è stata proprio la Lombardia con 765 ettari in più in un solo anno. E sono i progetti come quello previsto per il quartiere milanese di San Siro a peggiorare le cose. «Il piano allargato prevede costruzioni a ridosso delle case e l’impermeabilizzazione di un’area verde di 5 ettari piantumata», ha dichiarato al The Submarine Gabriella Bruschi, presidente del Comitato coordinamento San Siro che da oltre due anni si oppone al progetto. Un impatto non da poco, soprattutto, alla luce di due fattori: le criticità interne delle aree urbane e l’espansione di quest’ultime verso settori esterni un tempo naturali, ora, sempre più frammentati. Ancora peggio, poi, considerando che le alternative ci sono. Come ad esempio ristrutturare il Meazza anziché raderlo al suolo e raddoppiarne la superficie edificata. «Prima del Covid ho parlato con gli ingegneri strutturisti che hanno lavorato al Meazza nel corso degli anni – ha aggiunto Bruschi – e hanno certificato di loro pugno che lo stadio sta benissimo, può sopportare qualsiasi tipo di ristrutturazione».
Il sindaco Sala, dal canto suo, avrebbe imposto tre condizioni: il rispetto dei volumi di costruzione indicati nel Piano di fattibilità, la riconversione dell’attuale stadio in “distretto dello sport” e che le nuove edificazioni non superino il limite previsto nel Piano di governo del territorio. O meglio, ha perlopiù ricordato quali sono le regole da rispettare. L’unico modo per limitare l’impatto sul territorio, infatti, sarebbe quello di non avviare i lavori. Ma gli interessi in ballo sono tanti e tutti che vanno ben oltre il dare un nuovo stadio ai tifosi: in parole povere, si tratterebbe di un’investimento immobiliare. Non molti anni fa, sia il Milan che l’Inter sono state infatti acquisite da due fondi d’investimento esteri: il cinese Suning Holdings Group per i Nerazzurri e lo statunitense Elliott per i Rossoneri. Ad oggi, quindi, sono due Società per azioni, per le quali basterebbe già la conferma del progetto per farle salire di valore. Valore di cui entrambe, alla luce dei bilanci economici, ne hanno evidentemente bisogno. La conferma di ciò e dell’intera strategia celata dietro la costruzione del nuovo stadio viene proprio da Paolo Scaroni, presidente del Milan ed ex Amministratore delegato di Eni. «Elliott un giorno rivenderà il club – ha dichiarato – è parte del loro lavoro. Stanno preparando un nuovo Milan, che sarà valutato al giusto prezzo da un nuovo proprietario. Abbiamo bisogno di un nuovo stadio, perché è questa la strada per crescere. Non sono tanto i posti di lavoro, ma la necessità di un’altra attrazione per Milano. La gente verrà a vedere anche questo nuovo stadio, che sarà emblematico di come questa città possa essere moderna e al top».
[di Simone Valeri]