In India i contadini hanno finalmente vinto la battaglia contro il governo Modi: le tre leggi della riforma agraria verranno abrogate «entro la fine della sessione invernale del Parlamento», annuncia il Primo ministro. Si tratta di una grande vittoria per il movimento contadino, la cui lotta tenace è durata quasi un anno e ha portato alla morte di oltre 600 manifestanti e a diverse campagne di diffamazione da parte del governo nei loro confronti. La débâcle del governo si è dimostrata una scelta necessaria al fine di adottare una strategia politica differente a meno di tre mesi dalle elezioni, che si terranno in cinque Stati. Quello degli agricoltori costituisce infatti il più grande bacino di voti, dal momento che più di metà della popolazione indiana dipende dall’agricoltura.
Nel giugno del 2020 il governo del Primo ministro Modi, leader del Bharatiya Janata Party (BJP) aveva varato tre ordini esecutivi d’emergenza che avrebbero permesso agli agricoltori di vendere direttamente a grandi rivenditori ed acquirenti istituzionali. Una mossa che, secondo il governo, avrebbe attratto i grandi investitori e permesso una più equa redistribuzione della ricchezza. Tuttavia la fine del controllo dello Stato sui prezzi avrebbe fatto perdere ai contadini molte tutele, tra le quali la garanzia di un prezzo minimo di vendita, fondamentale in un Paese soggetto a estreme variazioni del clima. La maggior parte dei contadini indiani possiede inoltre appezzamenti di terra troppo piccoli e scarsamente modernizzati, caratteristiche che precludono la possibilità di avere potere di contrattazione con i grandi compratori.
Nel settembre dello stesso anno il Parlamento approvò la riforma, mentre il ministro per la Trasformazione alimentare annunciò le dimissioni definendo le leggi “anti-contadino”. Gli agricoltori iniziarono ad organizzare importanti proteste, bloccando le linee ferroviarie e le autostrade che portano a Nuova Delhi. La protesta ebbe risonanza internazionale e migliaia di persone si mobilitarono anche a Londra, per sostenere la causa dei contadini indiani. Lo stesso accadde in una cinquantina di città in tutto il mondo, mentre in India i leader del movimento contadino iniziarono scioperi della fame di 24 ore a staffetta e diversi agricoltori morirono di freddo durante i presidi notturni sulle autostrade.
Una prima sospensione a tempo indeterminato della riforma è avvenuta a gennaio ad opera della Corte Suprema indiana, mentre i manifestanti hanno continuato a sfilare, arrivando a occupare il Red Fort di Nuova Delhi. Nel corso del 2021 numerosi politici di tutto il mondo e personaggi dello spettacolo si sono interessati alla vicenda, mantenendo un certo livello di attenzione internazionale (cosa non gradita al governo Modi, che ha dichiarato come vi fosse stato un “fraintendimento” della situazione).
L’immagine del governo Modi e del suo partito, il BJP, esce profondamente danneggiata da questa marcia indietro. Tuttavia si tratta dell’unica soluzione (tardiva) attuabile per recuperare terreno prima delle elezioni che si terranno tra meno di tre mesi in diversi Stati, tra i quali Punjab e Uttar Pradesh, dai quali provengono buona parte dei contadini che si sono opposti alla riforma.
Alcuni dei leader del movimento hanno affermato di voler proseguire con le proteste, per ottenere maggiori tutele per gli agricoltori e la garanzia di un prezzo legale per tutti i beni agricoli.
[di Valeria Casolaro]
Questo si chiama protestare contro l’ingiustizia e per i propri diritti. Qui manco ce lo sogniamo. Purtroppo.
Se in Italia le categorie dei lavoratori alle quali è stato ignobilmente e ingiustamente imposto l’obbligo della vaccinazione ( sanitari ad esempio ) avessero incrociato le braccia nel giro di una settimana – forse meno – questa “regola” vergognosa se la sarebbero rimangiata… invece tutti o la maggior parte hanno chinato la testa al ricatto. Se glielo chiedi ti dicono che l’hanno fatto contro voglia e senza convinzione. Bravi! E così un “pass” alla volta ci ritroviamo in dittatura!
Ma imparate dai contadini indiani!