Ieri, domenica 21 novembre, in Venezuela sono andate in scena le elezioni regionali del paese le quali hanno visto il largo trionfo del Partito Socialista Unito del Venezuela (PSUV) guidato dal Presidente Nicolas Maduro, assieme agli altri partiti e movimenti alleati. Dopo quattro anni di astensione dalla partecipazione politica del paese, gran parte dell’opposizione è tornata a percorre la via democratica e il paese sembra tentare di imboccare una strada che non sia segnata dalla violenza. Più di 130 osservatori internazionali hanno seguito il processo democratico-elettorale del paese.
I cittadini venezuelani sono stati chiamati ai seggi elettorali per eleggere più di 3.000 tra governatori statali, sindaci e membri del consiglio comunale. Sebbene la bassa affluenza, il 41,8% – comunque più alta delle previsioni che la davano al 30% – che risulta non essere distante dalle percentuali registrate nelle democrazie occidentali, la vittoria dello schieramento governativo è stata schiacciante: 20 su 23 governatori. Presenti ai seggi elettorali gli osservatori dell’UE, come concordato con i partiti di opposizione al fine di creare un clima di distensione politica che segua i processi democratici. Oltre a questo, è stata decisa la rinuncia della violenza e la riparazione per le vittime di essa al fine di riabbracciare la via del diritto e tornare a partecipare alla vita democratica del paese.
Il PSUV ha vinto negli Stati di Amazonas (40,16 percento), Anzoátegui (45,98 percento), Apure (43,33 percento), Aragua (51,76 percento), Barinas (42,10 percento), Carabobo (54,94 percento), Delta Amacuro (59,95 percento). ), Falcón (43,39 percento), Guárico (47,07 percento), La Guaira (50,12 percento),Lara (45,91 percento), Mérida (40,42 percento), Miranda (48,19 percento), Monagas (45,59 percento), Portuguesa (45,78 percento), Sucre (46,71 percento), Táchira (41,03 percento), Trujillo (41,48 percento) e Yaracuy (45,89 percento). L’opposizione invece ha vinto in tre Stati: Cojedes (48,52 percento) e Zulia (56,90 percento) dove a uscire vincitore è il candidato della Mesa de la Unidad Democrática (MUD); mentre a Nueva Esparta ha prevalso il candidato di Fuerza Vecinal (42.56 percento).
Le forze antigovernative, dopo aver disertato le elezioni per l’Assemblea Costituente e quelle amministrative del 2017, le presidenziali del 2018 e le parlamentari del 2020, hanno deciso di presentarsi nuovamente alla sfida elettorale. L’opposizione si è lacerata in una moltitudine di sigle che hanno tentato di rimanere in qualche modo unite sotto il cappello della Mesa de la unidad democratica (Mud). Sulla linea intransigente sono rimasti l’ex candidato presidenziale Henrique Capriles e Maria Corina Machado – che nel 2002 prese parte al tentato colpo di stato ai danni di Hugo Chavez.
Juan Guaido, autoproclamatosi Presidente del Venezuela nel 2019, e da allora sostenuto dai paesi occidentali, Stati Uniti in testa, ha preferito porre fine alla strategia del rifiuto elettorale. Mentre l’Occidente continua a riconoscere Guaido come legittimo Presidente, nonostante i reiterati tentativi di colpo di stato, lui stesso e gran parte dell’opposizione venezuelana tenta una riconciliazione civile che certamente non si presta ad essere semplice, soprattutto quando vi sono forze esterne che interferiscono. Da oltre 20 anni, infatti, gli Usa e i sui alleati cercano di rovesciare il sistema di governo costruito dalla sinistra in Venezuela, il cosiddetto chavismo (dal nome di Hugo Chavez primo presidente socialista del Venezuela, morto nel 2013), che si basa su nazionalizzazioni, gestione sovrana delle ricchezze del paese (innanzitutto petrolio) sottratte al controllo delle multinazionali e accesso gratuito dei cittadini a educazione e sanità.
[di Michele Manfrin]
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