La buona notizia è che l’indipendenza energetica è possibile: sono sempre di più le aziende, i comuni ed i privati cittadini che decidono di ricorrere alle fonti rinnovabili, dimostrando che il cambiamento è attuabile anche quando veicolato dal basso. In contrasto con l’andamento a rilento delle politiche di transizione nei grandi impianti, le piccole realtà portano avanti soluzioni concrete che apportano cambiamenti tangibili, a livello locale, per l’ambiente e per la società.
Ripensare le proprie forme culturali
Ciò che sta avvenendo in numerose realtà, parallelamente al progresso tecnologico, è una sostanziale riconfigurazione culturale, che plasma esperienze creative e innovative di autoconsumo e autoproduzione energetica. Alcune di queste, adottando l’etica del cambiamento, hanno potuto staccarsi dal modello energivoro delle multinazionali come unica forma di utenza per l’approvvigionamento energetico.
In questo modo la società si riorganizza su più fronti. Da un lato accelera il processo verso la decarbonizzazione, contribuendo a rallentare la crisi climatica. Dall’altro, il ritorno alla localizzazione e al decentramento del processo produttivo permette al cittadino di avere un nuovo ruolo attivo, allontanando il modello muscolare della multinazionale che stabilisce termini di erogazione e prezzi guardando solo al proprio guadagno. I soggetti passano da consumer a prosumer, ovvero consumatori ma anche parti attive nel processo produttivo, con l’effetto di una democratizzazione dell’intero sistema di approvvigionamento energetico.
I nuovi modelli sono già realtà
Sono centinaia le comunità che in tutto il mondo hanno avviato (e in molti casi portato a termine) processi di transizione a fonti di energia rinnovabili già dalla fine degli anni ’90. Le nuove configurazioni permettono a queste realtà di soddisfare buona parte delle proprie necessità energetiche, se non tutte.
Anche in Italia questa realtà è in fermento. Secondo il rapporto di Legambiente sono almeno 40 i comuni 100% rinnovabili, ovvero nei quali i fabbisogni elettrici e termici delle famiglie sono interamente coperti da fonti di energia rinnovabili: impianti eolici, fotovoltaici, idroelettrici e a bioenergie che arrivano a fruttare un risparmio anche del 40% in bolletta, rispetto alle tariffe della distribuzione energetica nazionale.
Samsø, la prima isola autosufficiente
Un primo esempio è rappresentato dall’isola di Samsø, in Danimarca, dove la completa indipendenza energetica è stata raggiunta nel 2003. Anziché dipendere dalla vendita di energia da parte delle multinazionali, viene utilizzata quella rinnovabile prodotta in loco da turbine eoliche, pannelli solari e biomasse. Parte di queste strutture sono in mano a cooperative locali e buona parte dei lavori di costruzione e mantenimento sono stati affidati agli abitanti. In questo modo è diminuito il tasso di disoccupazione ed è stata rilanciata l’economia locale. Il risparmio economico dovuto al minor costo dell’energia rinnovabile e la rivendita del surplus di energia prodotta ha inoltre permesso l’ammortizzamento dei costi di investimento.
La vera rivoluzione in atto a Samsø sta nel fatto che la riconversione energetica non è stata affidata alle grandi centrali ma ai cittadini. Questi hanno costituito parte integrante di ogni fase del progetto, dall’ideazione alla messa in pratica. L’intera comunità si è convertita da cliente delle multinazionali a produttrice della propria energia, mettendo così in atto una vera e propria democratizzazione del modello di conversione energetico. Le politiche riguardo le tematiche energetiche sono certo piuttosto innovative di per sé in Danimarca, e Samsø è una piccola isola, ma non per questo innovazioni di questo tipo non possono rappresentare dei modelli di riferimento.
Feldheim, la cittadina tedesca che sfida le multinazionali
La piccolissima cittadina di Feldheim, per esempio, viene visitata ogni anno da migliaia di turisti proprio per la particolarità del suo modello energetico. Situata nella zona sud-ovest di Berlino, la piccola cittadina dispone di più di 40 turbine eoliche, un impianto a biogas che trasforma gli scarti dell’agroindustria in metano e una stazione fotovoltaica: in tutto queste tre risorse sono in grado di produrre energia sufficiente per soddisfare il fabbisogno elettrico e termico dell’intera città, oltre a produrre un surplus che viene rivenduto sul mercato costituendo così una forma di introito.
Uno degli ostacoli al progetto è stato il rifiuto, da parte della multinazionale delle energie rinnovabili E.ON., di cedere l’uso della propria rete di distribuzione elettrica, dimostrando come la logica del guadagno rimanga inalterata quando si tratta di grossi sistemi centralizzati, che siano combustibili fossili o energia verde. Gli abitanti di Feldheim si sono quindi organizzati e grazie al contributo di fondi europei, prestiti di capitali e un investimento di 3000 euro a cittadino hanno messo in piedi una rete elettrica propria, che distribuisce l’energia prodotta in loco. Il processo di “autarchia energetica” si è così completato, insieme a quello di decarbonizzazione: oggi i cittadini possono controllare il prezzo dell’energia autoprodotta, più conveniente rispetto a quella distribuita dalle grandi multinazionali tedesche, e rivenderne una gran parte. L’investimento dei privati sarà ammortizzato entro pochissimi anni, per poi cominciare a fruttare dei veri e propri guadagni. Come a Samsø, inoltre, anche qui la trasformazione energetica ha rilanciato l’economia, portando la città ad una quota di piena occupazione.
A Napoli le rinnovabili combattono la povertà energetica
La rivoluzione energetica in Italia è partita dal quartiere San Giovanni a Teduccio, nella periferia di Napoli, il quale costituisce un ottimo esempio della necessità di affrontare i problemi sociali, ambientali ed economici in un’ottica congiunta. Grazie ad un investimento di circa 100 mila euro della Fondazione Con il Sud, quaranta famiglie con disagi sociali hanno potuto godere dei benefici del nuovo sistema energetico.
Il caro prezzi di energia elettrica e riscaldamento costituisce una problematica grave nel nostro Paese, dove almeno due milioni di famiglie vivono in condizioni di povertà energetica. Con quest’espressione si definisce un fenomeno “che sta crescendo nei Paesi sviluppati” e riguarda “persone, singole o famiglie che hanno difficoltà a pagare le bollette per garantirsi servizi essenziali come il diritto a scaldarsi, raffrescarsi o anche cucinare”. L’installazione di un impianto fotovoltaico sul tetto della Fondazione Famiglia di Maria produce energia sufficiente ad essere sfruttata in parte dalla struttura e in parte dalle famiglie aderenti al progetto. Il risparmio reale è stimato intorno ai 300 mila euro in 25 anni, all’incirca 300 euro all’anno per ciascuna famiglia.
Podere Vallescura, una delle prime realtà off-grid italiane
Le esperienze off-grid costituiscono le realtà più coraggiose nel contesto della transizione energetica, perché si fondano sul fare affidamento solo sulle risorse rinnovabili prodotte in loco, senza appoggiarsi alla rete di distribuzione nazionale. Ciò implica necessariamente un adattamento dei propri stili di vita per poter sfruttare al massimo il sistema energetico in base alle stagioni, ma si tratta di piccoli aggiustamenti che richiedono poco sacrificio. Questa è la sfida che ha deciso di cogliere il Podere Vallescura, nella provincia di Perugia, una delle prime realtà di questo tipo in Italia. L’energia elettrica e termica prodotte dalla piccola pala eolica e da sei pannelli fotovoltaici sono sufficienti a coprire le necessità energetiche e di riscaldamento dell’intero agriturismo, dell’abitazione dei proprietari e della stalla.
Le strutture off-grid rappresentano un perfetto esempio di quanto obsoleto e superabile sia il sistema di rifornimento dell’energia che passa dalle grandi centrali produttrici alle aziende intermedie per giungere al cittadino, con un evidente costo altissimo per le tasche dei consumatori. Ancora una volta la localizzazione e la decentralizzazione, come nei casi precedenti, garantiscono una vera e propria democrazia energetica e una maggiore accessibilità alle risorse.
Cambiare il sistema è possibile
Ripensare le proprie abitudini di consumo, lasciarsi ispirare dai modelli innovativi che fioriscono nel resto del mondo costituisce il primo passo per apportare un cambiamento radicale. Le alternative al sistema volto al profitto delle multinazionali è possibile: sfaldare il sistema egemonico e compatto delle grandi industrie (dei combustibili fossili come delle energie rinnovabili) per decentrare la produzione riportandola alla sua dimensione locale può costituire il primo e più importante passo verso una distribuzione democratica delle risorse. Sempre più piccole realtà ci insegnano che tutto questo è possibile.
[di Valeria Casolaro]
Bell’articolo, è bello sapere che ci sono alternative percorribili. Oggi è già la seconda bella notizia che leggo sul vostro giornale, me ne rallegro!
Interessante riflessione da poter applicare anche ad altri ambiti, per esempio quello agro-alimentare. Se aspettiamo che la transizione ecologica “piova” dall’alto non la otterremo mai, dobbiamo unirci come comunità.