mercoledì 2 Aprile 2025

I governi autoritari usano l’Interpol come mezzo di persecuzione politica

L’Interpol, Organizzazione Internazionale della Polizia Criminale, potrebbe essere suo malgrado uno strumento nelle mani dei governi autoritari, i quali ne sfruttano le falle nel sistema per arrestare i dissidenti politici. Tramite il meccanismo degli avvisi rossi e di accuse fittizie vengono emanati mandati d’arresto internazionali nei confronti di target specifici, i quali trascorrono anche diversi mesi in carcere prima che venga alla luce l’infondatezza delle accuse (se mai succede). Dopo l’elezione della controversa figura del generale al Raisi -sospettato di essere parte della tortura di diversi prigionieri- come presidente dell’organizzazione la situazione non promette di migliorare.

L’Interpol è un’organizzazione con 195 Stati membri che lavora in collaborazione con le Forze di Polizia di tutto il mondo per catturare gli autori di crimini gravi. Per farlo, l’organizzazione dispone di un vero e proprio database nel quale i criminali sono identificati con tanto di foto segnaletica e generalità. Coloro che sono identificati con un red notice, un avviso rosso, sono soggetti di speciale attenzione perchè già perseguiti o in attesa di scontare una pena. Si tratta di soggetti per lo più accusati di crimini di guerra e narcotraffico, molti di questi latitanti. Tramite il meccanismo dei red notice, la richiesta di localizzare e arrestare il soggetto è diffusa alle Forze di Polizia di tutto il mondo.

A far parte della rete dell’Interpol vi sono tuttavia alcuni governi il cui uso improprio dei mezzi dell’organizzazione sarebbe finalizzato a individuare e catturare dissidenti politici avversi al governo. La recente decisione di concedere l’accesso all’Interpol al governo siriano, per esempio, è stata fortemente criticata in quanto in questo modo il regime di al Assad disporrebbe dei mezzi per perseguitare ulteriormente il proprio popolo. Toby Cadman, avvocato che si occupa di crimini di guerra nel contesto siriano, ha definito “poco chiari” i sistemi dell’Interpol e dichiarato che proprio per questo “ottenere un red notice è molto semplice“. Ad oggi non esiste una stima di quanti siano i red notice usati in modo improprio per arrestare i rifugitati politici.

Quello siriano non è tuttavia l’unico caso controverso. Nel 2018 il calciatore del Bahrein Hakeem al Araibi, rifugiato politico in Australia, è stato arrestato durante la luna di miele in Thailandia dopo che il governo del Bahrein gli aveva rivolto una fittizia accusa di vandalismo ed aveva emesso un mandato di arresto tramite l’Interpol. La stessa accusa era stata usata contro Petr Silaev, ambientalista e antifascista russo, rifugiato politico in Finlandia ma arrestato in Spagna nel 2012 per un avviso diffuso dalla Russia tramite l’Interpol. A Varsavia, nel settembre di quest’anno, è stato arrestato Makary Malachowski, attivista e oppositore russo in fuga dalla Polonia, contro cui il governo Lukašenko aveva emesso un red notice. E la lista è ancora molto lunga.

Le affermazioni di Cadman si concretizzano in particolare negli standard insufficienti per le richieste di prove da parte dell’Interpol riguardo i reati contestati. Pratica criticata è inoltre quella della “diffusione”, per la quale gli Stati membri possono inviare reciproci mandati di arresto, come avvenuto nel caso di Nikita Kulachenkov. Nato in Russia ma rifugiato in Lituania in quanto collaboratore della Fondazione anticorruzione fondata da Navalnyj, Kulachenkov è stato detenuto in un carcere cipriota per alcune settimane mentre si trovava in visita dalla madre, dopo che la Russia ha emesso nei suoi confronti un avviso d’arresto con l’accusa di aver rubato un disegno di un artista di strada.

Nel novembre di quest’anno l’Interpol ha inoltre eletto come proprio presidente Ahmed Nasser al Raisi, originario degli Emirati Arabi, accusato da alcuni gruppi di diritti umani e in diversi tribunali europei di essere coinvolto nella tortura di alcuni prigionieri. Gli Emirati Arabi sono infatti sospettati di aver utilizzato impropriamente il sistema dei red notice per riscuotere i debiti nei confronti delle proprie istituzioni finanziarie. Sono numerose le testimonianze di prigionieri che hanno denunciato di essere stati sottoposti a sessioni di tortura, supervisionate dal generale al Raisi. Non c’è nemmeno bisogno di dirlo, le alte cariche degli Emirati smentiscono a gran voce tutte le accuse.

[di Valeria Casolaro]

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