L’estrazione del litio è a un passo dalla sostenibilità. Si fa sempre più concreta, infatti, la possibilità di ricavare questo ormai indispensabile metallo dalla cosiddetta salamoia geotermica, una soluzione di fluidi ipersalini generalmente impiegata nel ciclo di produzione di energia dal calore sotterraneo. Il primo impianto commerciale che sfrutterà questo processo partirà proprio in Europa, nell’Alta Valle del Reno, grazie al progetto Zero Carbon Lithium della società australiana Vulcan Energy Resources. L’obiettivo sarà quello di fornire idrossido di litio al produttore di veicoli Stellantis con cui è stato firmato un accordo quinquennale vincolante. A beneficiare della rivoluzione saranno tre futuri stabilimenti situati, rispettivamente, a Termoli, in Italia, a Kaiserslautern, in Germania, e a Douvrin, in Francia.
L’idrossido di litio – grazie agli ioni, atomi dotati di carica elettrica derivanti dalla sua dissociazione – è ad oggi materia prima essenziale per la produzione di batterie ricaricabili. La transizione ecologica, specie del settore dei trasporti, ha portato ad un’impennata nella domanda del metallo che lo costituisce, il litio per l’appunto. Secondo le stime della società NS Energy, la sua produzione mondiale, nel 2019, è stata di 77.000 tonnellate e si ritiene possa arrivare a 120.000 nel 2024. Motivo per cui, alla luce delle attuali modalità di estrazione, è stato messo da tempo l’accento sulla dubbia sostenibilità dell’intero ciclo di vita delle batterie. Ad oggi, il metallo della transizione è infatti ricavato perlopiù attraverso due fonti distinte: acqua salata o roccia. Nel primo caso, si sfrutta un processo di evaporazione forzata che richiede ingenti quantitativi di acqua e consumo di suolo. Nel secondo, invece, si tratta di aprire delle vere e proprie miniere a cielo aperto con impatti sul territorio e l’atmosfera, nonché sociali, tutt’altro che trascurabili. Ma non finisce qui. Il litio così estratto, infatti, va poi raffinato. Allo scopo, sono necessari impianti di lavorazione basati sui combustibili fossili che, di fatto, vanificano ogni taglio delle emissioni derivante dal ricorso all’energia elettrica. Per questo, quindi, si parla di “paradosso della transizione”. Non a caso l’Europa, anche a causa di un approvvigionamento instabile in rapporto alla crescente domanda, ha inserito il litio nelle Critical raw materials, materie prime critiche per cui bisogna muoversi, e in fretta, verso una produzione totalmente sostenibile.
Il progetto della Vulcan potrebbe quindi cambiare le carte in tavola. Il processo che sfrutterà, tuttavia, non è nuovo. Recentemente però è stato affinato – come ha evidenziato un recente studio – fino a far sì che possa generare un idrossido litio di alta qualità. Finora, infatti, il limite maggiore, che ha favorito le modalità di estrazione più impattanti, è che solo queste permettevano di ottenere un prodotto qualitativamente elevato. Nel dettaglio, il progetto che avrà sede fisica in Germania prevede che un fluido ricco in litio proveniente dal sottosuolo venga fatto passare attraverso delle colonne di estrazione in cui il metallo di interesse precipiterà e potrà quindi essere raccolto. Il tutto sfruttando calore ed energie rinnovabili che, se in eccesso, potranno essere reimmesse nella rete. Di conseguenza, l’impronta di carbonio potrebbe risultare persino negativa. Alla luce quindi di un pressoché totale azzeramento delle emissioni di CO2 e un decisivo taglio dei costi produttivi, la strada si conferma quella giusta. Conflitti geopolitici permettendo. Ma questo è un altro discorso.
[di Simone Valeri]