La multinazionale petrolifera Shell, in Sudafrica, ha intenzione di cercare petrolio mediante le cosiddette prospezioni geosismiche, ovvero, generare onde sismiche per analizzare i fondali. Una pratica comune che, dato il periodo programmato, rischia però di interferire con la riproduzione delle balene. Per questo motivo, mercoledì scorso, quattro Ong si sono appellate al tribunale per tentare di bloccare, all’ultimo minuto, l’avvio delle operazioni. Ma, oggi, una sentenza dell’Alta Corte sudafricana ha respinto l’appello degli ambientalisti e stabilito che la multinazionale potrà dare avvio alle prospezioni.
Identificare potenziali giacimenti petroliferi mediante la propagazione di onde sismiche, e la successiva registrazione dell’eco da queste generata, non è cosa nuova. Così come non lo è anche l’impatto sulla fauna marina che ne deriva. Da decenni ormai, diversi studi scientifici hanno infatti appurato severi danni a pesci e mammiferi come disorientamento, aumento dei livelli di stress e problemi all’udito. Per questo motivo sono stati adottati dei protocolli finalizzati a minimizzare gli effetti negativi sulla già ampiamente minacciata vita marina. Protocolli che la stessa Shell afferma di rispettare. Tuttavia, in questo caso, è il periodo a fare da aggravante. Proprio tra giugno e dicembre, infatti, le balene franche australi (Eubalaena australis) e le megattere (Megaptera novaeangliae) migrano verso il Sudafrica per riprodursi e tornare poi verso l’Antartide. Il timore quindi è che le operazioni della multinazionale possano interferire con questi delicati processi biologici, specie considerando – come è stato dimostrato – che le prospezioni geosismiche sono in grado di alterare la fondamentale comunicazione acustica tra cetacei. Generare onde analoghe a quelle dei terremoti, difatti, comporta l’inevitabile propagazione di suoni, spesso anche molto intensi, che di rado sono esenti da ripercussioni sulla fauna. Senza contare il prezioso ecosistema su cui queste andranno ad agire: l’ambiente marino relativamente intatto della Wild Coast che, oltre a balene, ospita delfini, foche e, in generale, un’elevata biodiversità.
Frenare il riscaldamento globale significa interrompere già da subito l’uso di combustibili fossili, figuriamoci quanto sia opportuno cercarne di nuovi. Il progetto della Royal Dutch Shell, approvato nel 2014 dal governo sudafricano, conferma quindi la noncuranza ambientale delle grandi industrie, oltreché una certa negligenza politica. Gli avvocati dei movimenti ricorrenti hanno sostenuto che la campagna di esplorazione della Shell poggiasse su «un’azione amministrativa ingiusta, poiché approvata, 8 anni fa, sulla base di un processo obsoleto oggi sostituito da protezioni ambientali più forti». Tuttavia, la Corte ha ritenuto che i ricorrenti «non sono riusciti a dimostrare l’esistenza di un ragionevole rischio di danno irreparabile», pronunciandosi così a favore della società fossile anche a causa dei costi finanziari di un eventuale ritardo nelle operazioni. Sia mai che una multinazionale petrolifera, da un fatturato di oltre 180 miliardi di dollari, ci rimetta economicamente. Quindi: avanti tutta!
[di Simone Valeri]