venerdì 22 Novembre 2024

Afghanistan: la Corte Internazionale non indagherà sui crimini dell’esercito USA

Lunedì 6 dicembre, Karim Khan, procuratore per l’Afghanistan della Corte Penale Internazionale (CPI – International Criminal Court), ha confermato che le indagini sui crimini di guerra commessi nel paese verranno momentaneamente concentrate esclusivamente sulle azioni dello Stato Islamico nella provincia del Khorasan (Islamic State Khorasan Province – ISKP) e dei talebani; nessuna inchiesta indagherà invece i crimini dei soldati statunitensi né degli alleati di Washington. Khan, ha infatti dichiarato durante una riunione dei paesi membri della CPI che la decisione è stata presa sulla base di “prove”, considerando che i crimini peggiori in termini di gravità, portata ed estensione sarebbero stati commessi da ISKP e talebani.

Le indagini preliminari sui crimini di guerra in Afghanistan da parte della Corte erano iniziate nel 2006. Nel 2019, l’ex procuratore della CPI, Fatou Bensouda, aveva richiesto un’indagine a tutti gli effetti, poiché c’era un “ragionevole” sospetto che sia le truppe statunitensi che i talebani avessero commesso crimini di guerra. In particolare, Bensouda aveva indicato i centri di detenzione segreti gestiti dalla Central Investigation Agency (CIA), come luoghi principali in cui tali crimini erano stati commessi. Un esempio è la prigione amministrata dalla CIA denominata “Salt Pit”, nome in codice Cobalt, a pochi chilometri dall’aeroporto di Kabul. Proprio a Salt Pit, morì di ipotermia nel 2002 Gul Rahman dopo essere stato incatenato a un muro seminudo durante la notte a temperature sotto lo zero. La prigione venne poi “casualmente” data interamente alle fiamme prima della ritirata delle truppe statunitensi da Kabul lo scorso agosto. Tra i crimini di guerra contestati alle truppe statunitensi ci sarebbero inoltre uccisioni sommarie e l’utilizzo “sfrenato” di raid aerei, che avrebbero causato migliaia di morti tra la popolazione civile in Afghanistan. Una lunga scia di sangue che si è protratta fino al momento del ritiro, preceduto da un’ennesima strage di civili

La decisione della CPI di indagare sui crimini commessi dalle truppe americane è stata a lungo oggetto di conflitto. Gli Stati Uniti, che non sono membri dello Statuto di Roma che istituisce il tribunale internazionale, hanno sostenuto che la corte non ha giurisdizione per indagare sulle azioni del governo americano o su quelle delle sue truppe. Il solito discorso: secondo Washington nessuno, tolto i tribunali americani, può indagare la condotta delle truppe a stelle e strisce, nemmeno il tribunale internazionale né, tantomeno, i giudici dei paesi dove le violazioni sarebbero accadute. Addirittura, nel giugno 2020 a seguito di questa polemica, l’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump aveva imposto sanzioni a Fatou Bensouda, predecessore di Khan, e ad altri membri dello staff della CPI. Nonostante i rapporti tra Washington e la CPI siano leggermente migliorati a seguito dell’insediamento dell’amministrazione Biden – che ha revocato le sanzioni contro i membri della corte – gli Stati Uniti continuano ad opporsi alle indagini sull’operato delle sue truppe in Afghanistan.

Per dovere di cronaca va segnalato che presunti crimini di guerra sarebbero stati commessi anche dalle truppe di altri paesi della coalizione. Nel 2019, Panorama, programma investigativo della BBC, aveva evidenziato che uccisioni ingiustificate di civili afgani erano state tenute nascoste dal governo britannico e dai vertici dell’esercito. Mentre nel novembre del 2020, a seguito di un rapporto sull’uccisione di 39 civili e prigionieri afgani, i vertici dell’esercito australiano (Australian Defence Force – ADF) avevano richiesto il licenziamento di 13 soldati delle forze speciali.

Questa vicenda, evidenzia ancora una volta come gli Stati Uniti (e non solo loro), scelgano di evadere le proprie responsabilità a livello internazionale nonostante la propaganda sul rispetto dei diritti umani, della democrazia e della libertà sia il punto cardine della politica estera di Washington. Anche l’utilizzo di sanzioni per mettere a tacere i membri della CPI ha suscitato molto scalpore a livello internazionale, considerando che oltre 120 paesi hanno sottoscritto lo statuto fondatore della corte.

[di Enrico Phelipon]

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