La crisi scatenata dalla “emergenza sanitaria”, con lockdown e restrizioni, ha fatto andare in tilt le catene di approvvigionamento globale con aumento del prezzo dell’energia, della logistica, delle materie prime e dei prodotti, con aumento dei tempi di consegna, rallentamenti e ritardi nella produzione e nella distribuzione. Nel settore marittimo il costo di spedizione delle merci è aumentato di 10 volte rispetto alla situazione pre-pandemica e lunghe file di navi si ammassano fuori dai porti che non riescono a compiere le operazioni in un tempo utile a smaltire il traffico. Sebbene la maggior parte dei traffici mondiali avvenga via mare, poco si conosce dei soggetti che operano nel settore commerciale marittimo. Le grandi compagnie marittime, tra alleanze, legami intrecciati e accordi geopolitici, rappresentano uno dei colli di bottiglia delle catene di approvvigionamento globale. Gli Stati Uniti si dicono preoccupati e il governo ha chiesto al Congresso di estendere i poteri di supervisione statunitense sul commercio marittimo globale: l’8 dicembre è stato approvato dalla Camera dei Rappresentanti l’Ocean Shipping Reform Act, in attesa del voto del Senato. Questo vorrà dire fare i conti con le potenti flotte marittime delle compagnie commerciali, con quegli “eserciti” che si contendono rotte navali e porti su scala mondiale.
Decine e decine di navi portacontainer attendo di poter entrare nei porti, come quello di Losa Angeles, rimanendo a largo della costa – anche a più di 150 miglia nautiche – anche per alcune settimane. La Casa Bianca si è detta preoccupata della situazione generale riguardo l’approvvigionamento, anche perché il contraccolpo si avverte in settori strategici statunitensi quali la difesa e la sicurezza in cui intere commesse sono saltate a causa della mancanza di componenti: il settore ha visto la perdita di 87.000 posti di lavoro, il 4% del totale.
L’Ocean Shipping Reform Act sarebbe il disegno di legge più importante dopo l’aggiornamento della legge federale che disciplina il commercio marittimo globale del 1998. Se approvata anche dal Senato, la legge andrebbe a rafforzare la Federal Maritime Commission (FMC) e la sua azione sulla catena di approvvigionamento estera, oltre a voler garantire l’equità nel settore globale del trasporto marittimo oceanico. «Questo è un primo passo importante per affrontare sia le pratiche di spedizione sleali a lungo termine impiegate dai vettori marittimi sia per aiutare a risolvere le interruzioni della catena di approvvigionamento della nazione», ha affermato Billy Johnson, capo lobbista dell’ISRI (Institute of Scrap Recycling Industries). Questo provvedimento legislativo statunitense andrebbe a sfidare apertamente il potere delle alleanze delle compagnie marittime, ponendo una serie di condizioni e spostando responsabilità e costi dei carichi in capo alle compagnie stesse.
Il commercio globale via mare dipende ormai da accordi che le più grandi compagnie marittime stringono tra di loro, tra alleanze e conflitti. Le alleanze tra compagnie marittime permette loro razionalizzare i costi e l’utilizzo delle risorse, rendendo più efficiente il lavoro delle compagnie stesse. Quattro sono le principali alleanze marittime: 2M; Ocean Three; G6 Alliance; CKYHE.
L’alleanza denominata 2M è formata da Mediterranean Shipping Company (MSC) – seconda compagnia a livello globale di linee cargo, con sede in Svizzera – e dalla danese A.P. Møller – Mærsk (attiva anche nel settore dell’energia e della cantieristica). Ocean Three raggruppa invece la francese CMA CGM, la cinese COSCO Shipping Development e la United Arab Shipping Company (fondata da Bahrain, Iraq, Kuwait, Qatar, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti). G6 Alliance è formata dalla tedesca Hapag–Lloyd AG, la giapponese Nippon Yusen (parte del gruppo Mitsubishi), la Orient Overseas Container Line con sede ad Hong Kong, l’altro colosso giapponese Hyundai, Mitsui O.S.K. Lines (sempre giapponese) oltre all’American President Lines, con sede a Singapore e filiale della francese CMA CGM. CKYHE è l’alleanza marittima che riunisce Kawasaki Kisen Kaisha, nota come K-Line, con sede in Giappone, la Yang Ming Marine Transport Corporation con sede a Taiwan, la sudcoreana Hanjin e, nuovamente, la cinese COSCO Shipping Development.
Centinaia e migliaia di navi cargo appartenenti a queste compagnie, o da loro affittate, solcano ogni giorno i mari di tutto il mondo e determinano il funzionamento della catena globale di approvvigionamento.
La situazione di prolungata “crisi pandemica” pone le economie ancora sotto una pesante pressione che non permette una vera e propria ripresa che rischia di essere un miraggio spacciato da chi invece, consapevolmente o meno, aderisce alla ristrutturazione economica mondiale. Stando così la situazione, le analisi della molteplicità dei fattori che incidono sulle catene di approvvigionamento globale mostrano un ritorno alla normalità non prima del 2023.
Così, le onde generate dallo scuotersi dell’economia mondiale sotto i colpi del Grande Reset si avvertono adesso anche nei mari e negli oceani che si fanno così sempre più burrascosi.
[di Michele Manfrin]