Per il Cile la giornata di ieri ha segnato un evento da ricordare. Al ballottaggio delle elezioni presidenziali l’ex leader delle proteste studentesche che infiammarono il paese nel 2019, Gabriel Boric, è diventato il nuovo presidente ricevendo il 55,86% dei voti. Un risultato a sorpresa, che lo ha visto superare ampiamente José Antonio Kast, candidato della borghesia liberista e dei settori della destra nostalgica dell’ex regime militare di Augusto Pinochet.
Una nuova vittoria per i movimenti di sinistra che si oppongono al liberismo in America Latina, dove i governi amici della tradizionale politica economica americana sono ormai ridotti a poche eccezioni, guidate dal Brasile di Bolsonaro (dove si voterà a breve). Del resto sono numerosi ormai i governi più o meno apertamente schierati verso un ordinamento socio-economico di stampo socialista: dagli storici Cuba, Venezuela, Bolivia e Nicaragua, passando per Argentina e Perù. Boric, classe 1986, sarà il Presidente più giovane della storia del Cile.
Perché la scelta dei cileni segna una svolta?
Fondamentalmente perché in queste elezioni i cittadini sono stati chiamati a compiere una scelta ben precisa, drastica e netta. Boric e Kast hanno mostrato durante la campagna elettorale di avere una visione del futuro molto diversa.
Antonio Kast, 55 anni, è un aperto ammiratore dell’ex dittatore Pinochet: suo fratello Miguel Kast, a tal proposito, ricoprì alcuni ruoli di rilievo durante il regime. E ancora. Il padre aveva scelto di aderire al Partito nazista nel 1942.
Nelle varie sessioni della propaganda elettorale si era presentato come “restauratore dell’ordine nel paese”, ispirandosi all’operato di Bolsonaro e a quello dell’ex dittatore peruviano Alberto Fujimori, imprigionato per crimini contro l’umanità. Kast è contrario all’immigrazione, all’aborto e alle coppie omosessuali, ai movimenti femministi e al divorzio. Il suo spirito conservatore lo ha portato infatti ad una serrata difesa della famiglia tradizionale. Basti pensare che lui stesso è sposato da 30 anni e ha 9 figli.
Boric, invece, già deputato e storico leader dei movimenti studenteschi, ha promosso un programma incentrato sull’ambientalismo e sulla decarbonizzazione del Cile. Dichiaratamente femminista, dopo la vittoria ha detto che il suo sarà “il primo governo ecologista della storia del Cile”. Nel programma elettorale di Boric si legge che sarà sua priorità puntare a rendere pubblico il sistema sanitario e quello pensionistico (ad oggi entrambi privati), con una particolare attenzione per l’individualità delle comunità locali e indigene.
Mind-blowing scenes in Santiago, where hundreds of thousands have flocked onto the streets to celebrate Gabriel Boric’s victory pic.twitter.com/uirvG1mVBg
— John Bartlett (@jwbartlett92) December 20, 2021
Per comprendere la sorpresa espressa dai media per l’elezione di Boric, bisogna fare un passo indietro e capire in che contesto il Cile ha vissuto gli ultimi anni, proprio a partire dalle proteste del 2019. All’epoca ci furono molte manifestazioni contro il governo conservatore di Sebatian Pinera, represse con l’esercito. Una forza militare che, evidentemente, non è riuscita a soffocare la voglia di cambiamento verso un sistema che, pur essendosi liberato della dittatura di Pinochet, continua a vederne i frutti. Nella Costituzione (che è in fase di revisione), ad esempio, e nel sistema economico di un paese fondato sulla disuguaglianza, in cui poche imprese ricche e private controllano quasi tutti i settori più importanti.
Le proteste erano cominciate dopo l’approvazione di una legge che aumentava il prezzo del biglietto della metropolitana per circolare nella capitale. Per i cileni la spesa era già molto alta se confrontata con lo stipendio medio di un normale lavoratore. Da dove nasce la disparità economica nel paese? Gli esperti dicono che l’origine può essere ricercata nelle pratiche di colonizzazione e decolonizzazione. Durante l’assegnazione delle terre, in epoca coloniale spagnola, il Governo favorì i discendenti degli europei e creò le basi per il latifondismo che ancora opprime economicamente gli strati popolari del paese.
Lucía Dammert, analista politica e docente dell’Universidad de Santiago aveva detto al País che «Le proteste di questi giorni sono guidate da una nuova generazione di cileni, che hanno meno di 30 anni, che non hanno conosciuto la dittatura di Pinochet e che sono aperti alla possibilità di esprimere le proprie sofferenze perché sentono che non hanno niente da perdere». Ovvio però che il 55% dei voti Boric non lo ha ottenuto solo con i voti dei giovani, segno che anche tra le generazioni più anziane c’è voglia di lasciarsi il passato alle spalle.
[di Gloria Ferrari]