Insolito atto di protesta contro il Governo da parte della Commissione Finanze della Camera, a causa dei tempi ridottissimi concessi ai deputati per discutere il maxiemendamento sulla Legge di Bilancio: solo tre ore per analizzare e dibattere il più importante provvedimento dell’anno, quello che contiene i capitoli di spesa pubblica per il 2022, nonché divisive riforme come quella sulle aliquote fiscali, che poche settimane fa è stata contestata con lo sciopero generale indetto dai sindacati Cgil e Uil. La Commissione, con il sostegno di tutti i gruppi di maggioranza, ha deciso di non presentare alcun parere sulla legge, chiedendo a Draghi il rispetto delle istituzioni democratiche. La Legge di Bilancio sarà quindi votata dal Parlamento senza che la Commissione Finanze, che secondo la Costituzione italiana è deputata a vagliarne i contenuti, abbia espresso alcun parere in merito.
La decisione, come detto, è stata presa all’unanimità da tutti i membri, inclusi quelli che fanno parte dei partiti che sostengono il governo. Le dichiarazioni rilasciate lasciano intendere come i deputati reputino una grave rottura dei protocolli democratici la condotta del Governo Draghi. A spiegare la decisione è stato un comunicato del presidente della Commissione, Luigi Marattin, membro di Italia Viva: «Il rispetto per le istituzioni, e il rispetto verso il lavoro di sei mesi che questa stessa Commissione (insieme alla omologa del Senato) ha svolto quest’anno per preparare il terreno alla riforma fiscale, ci impone di rispondere un cortese e garbato “no grazie” quando ci si chiede di esprimerci in poche ore su un provvedimento che impegna decine di miliardi di risorse pubbliche». Rinforza il concetto Ubaldo Pagano, dell’iper-governista Partito Democratico: «Nessuna fase emergenziale giustifica una tale compromissione dei tempi».
Da settimane era chiaro che il Parlamento non avrebbe potuto toccare palla sulla Legge di Bilancio, interamente gestita dal Governo. Il governo ha inviato il ddl al Parlamento solo il 6 dicembre, oltretutto omettendo il dettaglio sulla ripartizione degli 8 miliardi destinati al taglio delle tasse: l’intesa politica che ha poi innescato lo sciopero generale è stata messa nero su bianco solo nel maxiemendamento della scorsa settimana. Quanto sta avvenendo sulla Legge di Bilancio, dopotutto, non è altro che l’ultimo atto in senso cronologico di una tendenza evidente da quando Draghi si è insediato a palazzo Chigi. Una media di 4,2 decreti legge ogni mese, il ricorso a 26 voti di fiducia da quando è in carica (media di tre al mese). Sono numeri senza precedenti quelli che testimoniano come il governo Draghi stia esautorando il Parlamento da quello che sarebbe il compito assegnatogli dalla Costituzione, ovvero l’esercitare il potere legislativo. Basti sapere che su “Green Pass” e “Super Green Pass”, due provvedimenti che hanno sancito la limitazioni delle libertà costituzionali per milioni di cittadini, il Parlamento non ha mai avuto la possibilità di discutere ed emendare i provvedimenti. Come avevamo scritto su L’Indipendente il 22 novembre scorso: “i dati testimoniano come il governo sia inteso da Draghi alla stregua di una governance aziendale, del quale l’ex capo della Banca Centrale Europea è l’indiscutibile amministratore delegato”. Ora lo denunciano anche i parlamentari della stessa maggioranza, i quali però, non hanno certo annunciato di voler far seguire fatti conseguenti alle parole di denuncia: il loro appoggio al governo non è in discussione.
Siamo sulla via che ci riporterà alla Monarchia restaurata, con Re Silvio I. Così potremo avere anche noi il privilegio di spettegolare sulla famiglia reale. Tanto, del Parlamento non interessa a nessuno. 😔