lunedì 4 Novembre 2024

EX ILVA: Il governo regala all’azienda i fondi per la bonifica di Taranto

Una norma inserita dal Governo Draghi nel Decreto Milleproroghe 2022 ha destinato le rimanenze dei fondi sequestrati alla famiglia Riva, ex proprietari ed amministratori dell’Ilva, ad Acciaierie d’Italia per la costruzione di impianti “ecocompatibili”. Si tratta di più di mezzo miliardo di euro, originariamente destinati alla bonifica delle aree di Taranto inquinate e gravemente compromesse dai rifiuti prodotti dallo stabilimento, che ora vedrà uno stop obbligato e il passaggio dei fondi alla produzione industriale.

Un punto a favore dell’ex Ilva il Governo Draghi lo aveva già segnato nel giugno 2021, quando aveva appoggiato il ricorso dell’azienda contro la decisione del Tar di Lecce di chiudere sei degli impianti produttivi a causa della “situazione di grave pericolo per la salute dei cittadini”. Ora, con la norma inserita nel Milleproroghe 2022, ciò che rimane dei soldi sequestrati alla famiglia Riva verrà destinato alla costruzione di “nuovi impianti “diversamente inquinanti” e inseguire la fuffa della ecocompatibilità dell’industria”, come dichiara il deputato Giovanni Vianello (Alternativa) in un comunicato.

L’ammontare della cifra sequestrata alla famiglia Riva dalla Guardia di Finanza, nell’ambito dell’inchiesta iniziata nel 2012 per le gravi violazioni ambientali che avevano causato la morte di 11550 persone in 7 anni, si aggirava intorno a 1.3 miliardi di euro. Tale cifra era stata destinata ad operazioni di risanamento del territorio industriale tarantino: in particolare, parte della somma era stata fatta confluire nel Patrimonio Destinato ai Commissari Ilva in Amministrazione Straordinaria, che avrebbero dovuto occuparsi della bonifica delle zone fortemente compromesse dallo scarico dei rifiuti dell’acciaieria. Parte delle zona di proprietà dell’ex Ilva è infatti talmente inquinata che ArcelorMittal, nello stipulare gli accordi con lo Stato per la formazione della Acciaierie d’Italia s.p.a. (compagine che gestirà lo stabilimento, a partecipazione di Mittal e Invitalia, quest’ultima di proprietà del Ministero dell’Economia e della Finanza) non le ha volute includere nell’accordo.

Per fare un esempio, nella sola zona della Gravina di Leucaspide sono stati rinvenuti 5 milioni di metri cubi di rifiuti industriali tossici, suddivisi in otto collinette di più di trenta metri di altezza ciascuna, depositati tra il 1995 e il 2012. La zona, di 530 mila metri quadrati, è stata posta sotto sequestro nel 2018 in seguito alla contestazione di reati quali disastro ambientale, discarica abusiva, omessa bonifica, getto pericoloso di cose, danneggiamento aggravato, deturpamento e distruzione di bellezze ambientali e deviazione delle acque. L’area si trova ancora sotto sequestro, ma a causa del trasferimento dei fondi voluto col Milleproroghe le operazioni in quest’area rischiano di fermarsi in maniera definitiva.

L’eventualità più probabile, spiega Vianello a L’Indipendente, è che ai commissari vengano lasciati circa 100 milioni di euro dei quasi 600 milioni ancora rimanenti, per completare la rimozione di 480 mila tonnellate di fanghi tossici che giacciono al confine dello stabilimento e devono essere smaltiti. Il resto verrà affidato ad Acciaierie d’Italia, «per costruire nuovi impianti di cui oggi non è pubblico il piano industriale e nemmeno sono state fatte Valutazioni di Impatto Ambientale (VIA) o le Autorizzazioni di Impatto Ambientale (AIA)», ma che vengono comunque definiti “ecocompatibili”. «Questo tipo di misura, ovvero togliere soldi dalle bonifiche per darli ad Acciaierie d’Italia, può essere considerato aiuto di Stato, motivo per cui l’operazione si farà previo rilascio del consenso da parte della Commissione Europea per la normativa sugli aiuti di Stato» spiega inoltre Vianello.

«A Taranto da vent’anni noi vediamo soldi pubblici buttati in questa maniera: deroghe, immunità penali, normative ambientali che vengono completamente ignorate» dichiara Vianello. «L’area a caldo dell’Ilva di Taranto è sotto sequestro perchè, a quanto stabilito dalla Procura di Taranto, crea eventi di malattia e morte soprattutto in età pediatrica. La storia dell’ecocompatibilità a Taranto la si sente da tempo, perchè sono vent’anni che vengono fatte norme in questo senso che dicono sempre le stesse cose. Nel caso dell’area a caldo dell’Ilva, la Procura non ne dava la facoltà d’uso, ma con il primo “decreto salva Ilva” è stato invece concesso. Dal 2012 ad oggi non è cambiato nulla».

[di Valeria Casolaro]

 

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