Lunedì scorso il Presidente messicano Andrés Manuel López Obrador ha ribadito di essere pronto ad offrire asilo nel proprio paese a Julian Assange, per il quale ha detto di aver chiesto la grazia all’ex presidente Donald Trump con una lettera- prima che il suo incarico finisse -. A suo dire, parole a cui il Messico non avrebbe mai ricevuto risposta.
«Sarebbe un segno di solidarietà, di fratellanza concedergli asilo nel Paese in cui Assange decide di vivere, compreso il Messico». Secondo Obrador se gli fosse concesso asilo in Messico, Assange non sarebbe in grado di interferire negli affari di altri paesi e non rappresenterebbe alcun tipo di minaccia. Ma al momento il segretario alle relazioni estere, Marcelo Ebrard, ha detto che potrebbe non essere possibile che questo accada per via di alcune procedure ancora irrisolte.
Obbligarlo a tornare in America significherebbe vederlo processato per un totale di 18 capi di imputazione, quelli che il Paese gli attribuisce per il rilascio da parte di WikiLeaks di documenti militari riservati. Significherebbe per lui rischiare una condanna fino a 157 anni, presumibilmente da scontare in prigioni di massima sicurezza. Una visione delle cose diversa da quella di molti sostenitori Assange, per i quali l’uomo è da considerare un eroe perseguitato dagli Stati Uniti per aver esposto le azioni illecite del Paese.
Il rischio che Assange debba affrontare tutto questo c’è. Proprio a dicembre l’Alta Corte di Londra ha ribaltato la sentenza che in primo grado aveva negato l’estradizione di Assange negli Stati Uniti. I giudici hanno infatti accolto il ricorso statunitense, “rassicurati” dalla promessa degli Usa di trattare i detenuti in egual modo nel rispetto dei diritti umani. Al momento si attende il probabile ricorso e il riesame della vicenda, ma la strada verso la libertà per il fondatore di Wikileaks appare del tutto in salita.
Juliane Assange si trova da oltre due anni e mezzo nella prigione di massima sicurezza HM Prison di Belmarsh, Londra. Nel 2006 aveva fondato la piattaforma WikiLeaks, che ha diffuso documenti coperti da segreto di Stato per denunciare comportamenti poco etici di governi e aziende. Nel 2010 la piattaforma ha diffuso un video, denominato Collateral Murder, che mostrava un attacco statunitense risalente al 2007 contro un gruppo di sospetti terroristi, rivelatisi poi essere civili e giornalisti dell’agenzia Reuters. Washington ha reagito alla diffusione di questo e altro materiale sostenendo che avrebbe messo in pericolo la vita di diverse persone, tra le quali informatori e personale delle zone di guerra. Assange è stato così accusato dal tribunale americano di cospirazione e spionaggio. Di recente è stato rivelato che la CIA (i servizi segreti statunitensi) nel 2017 elaborò dei piani per rapire o addirittura uccidere Assange.
Assange è stato trasferito in prigione quando l’Ecuador, dopo sette anni, gli ha revocato lo status di rifugiato politico. Stella Morris, compagna e legale di Assange, ha definito le sentenze degli ultimi mesi un «grave errore giudiziario» e ha dichiarato di voler far ricorso appena possibile.
Anche in Italia il Parlamento aveva votato una mozione per concedere ad Assange lo stato di rifugiato politico. Il risultato, però, parla da sé: 225 no, 137 astenuti e appena 22 voti favorevoli.
[di Gloria Ferrari]