Tra proteste e violente repressioni, l’Italia guarda con apprensione quanto sta accadendo in Kazakistan. Il motivo, tuttavia, non ha a che fare con una particolare sensibilità alle tematiche sociali, bensì riguarda gli interessi fossili del nostro Paese. Il Kazakistan, infatti, è il nostro nono partner in termini di valore importato di petrolio greggio. Solo nei primi mesi del 2021, ci ha fornito oltre 517 milioni di euro di petrolio: più del 60% del valore delle importazioni totali. Non a caso, il Paese asiatico – come evidenziano i dati dell’International Energy Agency – rientra tra i primi produttori al mondo di petrolio, gas e carbone. E, nel 2020, si è attestato alla 14esima posizione della lista dei produttori globali di greggio.
Ma che la ‘rivolta del gas‘ resti senza conseguenze lo auspicano anche diversi colossi economici privati. I copiosi giacimenti di idrocarburi fossili che il Kazakistan ospita, parlando ancora di relazioni con l’Italia, non sono ad esempio passati inosservati alla multinazionale ‘nostrana’ Eni. Il Cane a sei zampe è presente nel Paese dal 1992. Un’alleanza strategica storica e recentemente rafforzata: nel 2020, le attività di sviluppo del giacimento Kashagan, dove Eni detiene il 16,81%, hanno puntato a un progressivo aumento fino a raggiungere i 450 mila barili di olio al giorno. Così, già nel primo semestre del 2021, il 9% della produzione di idrocarburi da parte di Eni è stato in quota kazaka. Ma per la multinazionale italiana, il Kazakistan è anche terreno fertile per attuare la sua personale ‘transizione energetica’. Nel luglio 2021, l’amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi, ha incontrato il presidente Tokayev e il primo ministro Mamin, siglando accordi con la compagnia nazionale KazMunaiGas per lo sviluppo di progetti nell’ambito di energie rinnovabili, idrogeno e biomasse. «Attraverso la propria controllata locale Arm Wild LLP, in mano al 100% al socio Eni Energy Solutions BV, domiciliato nell’Olanda a fiscalità agevolata – rende noto Altreconomia – Eni ha annunciato di voler realizzare due parchi eolici e un impianto fotovoltaico per una capacità totale di circa 150 MW».
Ad ogni modo, oltre le fossili, il Kazakistan resta una nazione strategica per l’Italia. I benefici commerciali sono infatti a doppio senso. Nel 2018, l’export italiano di vari beni a favore dei partner kazaki aveva raggiunto la quota di 1 miliardo e 86,35 milioni di euro. E addirittura l’anno successivo, tra gli Stati membri Ue, la nostra Penisola ne era il primo alleato commerciale. Poi il crollo del 15% nelle esportazioni Made in Italy come conseguenza della pandemia. Ora, mentre si fatica a riportare gli scambi al vigore originario, in tanti, Italia in primis, temono per i risvolti delle proteste. In termini commerciali, non umanitari, chiaro.
[di Simone Valeri]