Con un fatturato di quasi 4 miliardi di euro annuo, il business dell’acqua minerale in Italia si rivela estremamente redditizio. Il nostro mercato si colloca al nono posto su scala mondiale, al terzo se si conta solamente il settore delle esportazioni, che si aggira intorno a 1,3 miliardi di euro. Si tratta di ricavi da capogiro se si pensa che scaturiscono da fonti pregiate naturalmente presenti nel nostro territorio: peccato che quello che le multinazionali lasciano alla collettività, tramite il pagamento dei canoni sulle concessioni statali, sia molto meno delle briciole. Molto poco è stato fatto, inoltre, in termini di contenimento dell’impatto ambientale della commercializzazione dell’acqua in bottiglia, considerato che ad oggi ancora l’82% del mercato è costituito da contenitori in PET.
Quattro miliardi di fatturato annuo: tanto vale il mercato dell’acqua minerale in Italia. Le fonti presenti sul nostro territorio, beni naturali e di pregio, fruttano alle multinazionali un giro d’affari da capogiro. Tuttavia, secondo le ultime rilevazioni fatte dal Ministero dell’Economia e delle Finanze sono nemmeno 20 milioni di euro ad entrare nelle tasche dello Stato tramite i canoni di concessione. Rispetto al valore totale del mercato, si tratta di un misero 0,5%. Questo perché le aziende che hanno concessioni per imbottigliare l’acqua possono contare su costi irrisori da corrispondere alle Regioni. Nel migliore dei casi si parla di 2 millesimi di euro al litro, una cifra a dir poco esigua considerato che il prezzo di una bottiglia d’acqua acquistata al supermercato si aggira tra i 20 e i 30 centesimi al litro. I guadagni salgono ulteriormente se si considera che nei bar e negli esercizi commerciali il costo di una bottiglietta d’acqua da mezzo litro è mediamente di un euro.
Buona parte del prezzo finale è certamente da imputare al costo delle bottiglie in PET, che in Italia costituiscono ancora l’82% del mercato. Le aziende stanno cercando di ridurre il peso delle bottigliette per abbattere costi e impatto ambientale, anche se la soluzione migliore sarebbe certamente un abbandono definitivo della plastica, una delle primarie cause di inquinamento degli ecosistemi. L’Italia si colloca infatti ancora a parecchia distanza da Paesi come la Germania, dove il tasso di bottiglie avviate a riciclo è del 95% (contro il nostro 46%) ed esiste un sistema di vuoto a rendere da noi ancora assente. In altri Paesi europei, come la Danimarca, è inoltre obbligatorio l’uso delle bottiglie in vetro il quale, se combinato con il metodo del vuoto a rendere, può comportare importanti risparmi in termini di dispendio energetico e impatto ambientale.
Stando agli ultimi dati disponibili, in Italia sono 307 le concessioni per fonti di acqua minerale, distribuite variamente su tutto il territorio. Di queste, se ne contano 113 solo tra Piemonte, Lazio e Lombardia. Il maggior numero di imprese è distribuito tra Centro, Meridione e Isole, ma sono le aziende del Nord a fatturare maggiormente, con incassi intorno ai due miliardi di euro. La quota di esportazione complessiva costituisce quasi il 33% del fatturato (1,3 miliardi, contro i 2,5 miliardi del mercato domestico). Con numeri di questo genere, l’Italia costituisce il nono mercato al mondo e il terzo per l’esportazione, contando su prezzi dell’acqua al litro tra i più bassi che esistano. Sono i numeri che emergono da un rapporto stilato da Mediobanca, che aggrega i dati economici e finanziari del triennio 2017-2019 delle aziende nazionali che nel 2019 superavano il milione di euro di fatturato, 82 in tutto. Le cinque aziende in cima alla lista costituiscono da sole il 66% del fatturato totale, mentre le sei imprese a controllo straniero valgono un fatturato di 1,5 miliardi di euro.
Secondo gli ultimi dati a disposizione, sono il gruppo Nestlè (proprietario di Sanpellegrino) e il gruppo San Benedetto (cui fanno capo Nepi, San Benedetto, Guizza e diversi altri marchi) a dominare il mercato dei produttori, costituendo da soli ben un terzo della produzione italiana. Seguono Fonti di Vinadio, Lete, Ferrarelle, Gruppo Norda, Gruppo Co.Ge.Di. (Uliveto e Rocchetta), Spumador, Società Italiana Acque Minerali e Fonti del Vulture (di proprietà del Gruppo Coca Cola) a completare la lista delle “big 10”.
Un business da capogiro maturato sulla commercializzazione di un bene fondamentale e naturalmente presente sul territorio, quindi di teorica proprietà della comunità. A ricavarne beneficio, tuttavia, sono ancora una volta solamente le multinazionali.
[di Valeria Casolaro]
Ormai questi farabutti si accaparrano tutto, se avessero la possibilità anche l’aria che respiriamo….
Il cancro dell’Italia é la politica liberale. Questa politica nn fa gli interessi del popolo ma delle multinazionali che vogliono un monopolio su tutto e tutti. Il modello cinese di credito sociale è la massima espressione di ciò che dico…
Dio ci protegga perché degli uomini non mi fido più