Il Fondo Monetario Internazionale (FMI), istituzione la cui finalità è quella di promuovere la cooperazione monetaria tra Paesi, si è in passato espresso contro le criptovalute, almeno così per come le conosciamo oggi. Più nello specifico, ha sempre chiesto che queste venissero regolamentate in maniera chiara e precisa, prospettando altrimenti la destabilizzazione dei flussi di capitale. Non sorprende dunque che, il 25 gennaio, il consiglio di amministrazione dell’FMI si sia infine espresso contro El Salvador, nazione che ha deciso di fare del Bitcoin una valuta legale.
Nell’analizzare la situazione della nazione americana, l’FMI non ha mancato di evidenziare la sua preoccupazione per il suo crescente debito pubblico, debito che ha magre possibilità di essere sostenuto da un PIL che è invece stagnante. Non che Nayib Bukele, Presidente di El Salvador, non ne sia consapevole. Anzi, nella sua ottica l’istituzionalizzazione delle monete blockchain è giustificata proprio dal desiderio di attirare in loco nuovi investimenti e nuove imprese, di ravvivare le possibilità lavorative facendo della nazione un paradiso in terra delle aziende in salsa cripto.
Il criptoconio tende però a essere più volatile di altre valute – le quali sono maggiormente tutelate dalle istituzioni – e l’FMI suggerisce tra le righe che El Salvador si stia lanciando in un’impresa terribilmente azzardata pur di evitare i percorsi tradizionali e politici che gli vengono chiesti: l’implementazione di riforme fiscali, la riduzione del crimine, alleggerire la burocrazia, ottimizzare la spesa pubblica.
Una situazione complessa per Bukele: da una parte il diplomatico ha legato il suo successo all’adozione massiva del Bitcoin, dall’altra la nazione sta chiedendo al Fondo Monetario un prestito da 1,3 miliardi di dollari. Trovare un compromesso è difficile, ancor più che El Salvador ha istituito il Chivo, un portafoglio digitale nazionale, e sta valutando di emettere dei Bitcoin Bond.
Per scelta deliberata dell’establishment del posto, l’adesione di El Salvador alla criptofinanza ha fatto particolarmente clamore, tuttavia è innegabile che i sistemi di blockchain si stiano legando alle finanze di diverse nazioni, anche se spesso lo fanno semi-ufficiosamente o addirittura alle spalle dei Governi. In tal senso si registrano due grosse tendenze: una vede i cittadini dei Paesi autoritari confidare nei cripto per svincolarsi da sistemi bancari flagellati da corruzione e inflazione, l’altra ha per protagonisti gli abitanti delle nazioni ricche e potenti, i quali magari non credono troppo nel Bitcoin, ma preferiscono comunque mantenere aperta anche quella porta.
A un capo dello spettro vediamo dunque nazioni quali il Vietnam, l’India e la Nigeria, dal lato opposto abbiamo invece USA, Francia e Germania. Le autorità dei primi cercano di ostacolare attivamente lo sviluppo di una finanza parallela per evitare di perdere del tutto le redini politiche, i secondi stanno invece valutando se sia possibile assicurarsi che questa finanza parallela finisca con l’essere contingente a quella tradizionale, cosa che a sua volta preserverebbe gli equilibri di potere.
[di Walter Ferri]
Vanno capiti: perdere il controllo della moneta e della capacità di svalutarla costantemente a danno delle persone è un duro colpo per loro. Dategli tempo, se ne dovranno fare una ragione. Cercheranno di normarle in modo stringente e crederanno di sapere tutto di tutti imponendo agli exchange di condividere le informazioni come fossero delle banche. Purtroppo per loro siamo ancora agli albori della rivoluzione delle mondo crypto.