Mentre i fari sono puntati sull’elezione del nuovo capo dello Stato, continua la crisi occupazionale nel settore automotive. La Bosch annuncia 700 esuberi nello stabilimento di Bari nei prossimi cinque anni, su un totale di 1.700 persone. La Marelli, invece, rende noto il licenziamento entro giugno di 550 dipendenti su un totale in Italia di 7.700 occupati. Soprattutto gli addetti tra Bologna e Torino.
Le motivazioni sembrano convergere tutte su un punto: una transizione ecologica verso le auto elettriche che parrebbe troppo repentina e deleteria per la stabilità dei lavoratori. Il ministero dello Sviluppo Economico (Mise) afferma di conoscere la situazione e di tenerla in costante monitoraggio, ma dati gli ultimi risultati [1] del dicastero guidato dal leghista Giorgetti i lavoratori non si sentiranno certo in una botte di ferro. Ad ogni modo si assicura che un tavolo verrà convocato a breve e vi si parlerà, com’è prevedibile che sia, di un tema che il Ministro dello sviluppo economico Giancarlo Giorgetti aveva già sottolineato, ovvero la necessità che le esigenze ambientali e di sviluppo non confliggano così fortemente con quelle sociali e occupazionali.
Frattanto i sindacati annunciano [2] battaglia, dichiarando che metteranno in campo tutte le iniziative necessarie e vogliono un tavolo generale sull’automotive al Mise. Uno dei settori messi più a dura prova dalle politiche del governo. Le organizzazioni vogliono mettersi a disposizione per assecondare la transizione, salvaguardando però tutti i diritti.
In questi anni la Bosch ha messo a punto quattro nuovi prodotti e appare pronta a compiere la riconversione. Il contraccolpo però andrebbe mitigato con politiche ad hoc di sostegno predisposte a livello di governo centrale e regionale. “L’Italia è la seconda manifattura d’Europa. La difficile prospettiva rappresentata da Bosch a Bari è conseguenza di questa veloce trasformazione del mercato e di politiche europee drastiche, che penalizzano l’Italia più di altri Paesi”, ha detto la Confindustria pugliese.
Insomma pare che l’auto elettrica corra troppo veloce rispetto a noi. Ma è anche vero che i problemi non possono essere imputati solamente alla volontà europea di correre nella sua direzione. Nel corso della pandemia il settore automobilistico è stato molto penalizzato, al di là dei processi che stavano avvenendo all’interno. Tutti ricordiamo i mesi di stop e cassa integrazione, ovviamente legati al fatto che con le restrizioni le esigenze di spostamento su motore erano divenute secondarie. C’è stato poi l’evidente problema dell’approvvigionamento di materie prime, con la carenza dei semiconduttori [3]. Che ha rallentato parecchio diverse produzioni. E ora l’esplosione dei prezzi dell’energia. Ma anche senza voler contare la pandemia, le tensioni all’interno di alcuni siti produttivi non sono una novità, vista la classica altalena della domanda, sia interna che internazionale. Su tutti questi fattori si attende la risposta delle istituzioni. Ad ogni modo una realtà è evidente: se non verranno messi in campo investimenti e strumenti di protezione per i lavoratori occupati nelle aziende inquinanti la transizione ecologica finirà per essere soprattutto a svantaggio della classe operaia.
[di Giampiero Cinelli]