giovedì 21 Novembre 2024

RedBull compra un tratto di costa Adriatica: è l’antipasto della direttiva Bolkestein

La multinazionale delle bibite RedBull ha sborsato nove milioni di euro per mettere le mani su 120.000 metri quadri di litorale nel golfo di Trieste. Il complesso è articolato in 60.000 metri quadri di proprietà privata e 65.000 in concessione, e comprende l’area di Marina Monfalcone (Gorizia) con 300 posti barca sino a 40 metri, un cantiere nautico, uno yacht club, la prestigiosa Scuola Vela Tito Nordio nonché caseggiati, giardini e spiagge. Il tutto è stato rilevato direttamente dal titolare della Redbull, il magnate austriaco Dietrich Mateschitz, e l’acquisto – secondo la stampa specializzata – sarebbe stato portato a termine tramite una holding cinese. Il progetto della multinazionale prevede di trasformare l’Isola dei Bagni a Marina Nova nel nuovo regno della vela e della nautica brandizzati Red Bull. Un’operazione che anticipa una dinamica che presto potrebbe diventare realtà sulle coste di tutta Italia.

Nel dicembre scorso la Commissione europea ha inviato all’Italia una lettera di messa in mora relativa al rinnovo automatico delle concessioni balneari, minacciando la procedura d’infrazione nel caso in cui il governo italiano non proceda ad applicare i dettami contenuti nella direttiva Bolkestein che prevede la liberalizzazione delle concessioni balneari. Si tratta di una direttiva destinata a provocare un terremoto nella geografia dei lidi italiani, obbligando di fatto a mettere a bando le concessioni balneari. La questione è spinosa: se da un lato è vero che le concessioni riscosse dallo Stato sono basse, con stabilimenti balneari del valore di milioni di euro che con i canoni attuali pagano pochi spicci di concessione, dall’altro sono evidenti le possibili conseguenze nefaste della riforma, in particolare quella che vedrebbe gli stabilimenti balneari gestiti da famiglie (che spesso hanno riversato i risparmi per rilevarli) finire nelle mani di grandi imprenditori, fondi finanziarie o multinazionali contro i quali i gestori attuali avrebbero ben poche possibilità di concorrere nelle gare di appalto.

L’Italia fino adesso è stata restia ad applicare la direttiva europea e, pur avendola ratificata nell’ormai lontano 2010, ha provveduto a rinviarne costantemente l’applicazione. L’ultima modifica di legge approvata durante il governo Conte I (la 145/2018) ha disposto l’estensione delle concessioni balneari fino al 31 dicembre 2033, giustificandola come un “periodo transitorio” necessario ad attuare una riforma organica del settore, che l’allora ministro del turismo Gian Marco Centinaio stava concordando con Bruxelles. Poi il primo governo Conte è caduto e i successivi esecutivi non hanno portato a termine il lavoro, di qui la decisione della Commissione europea di aprire una procedura di infrazione all’Italia. Il governo italiano ha risposto con una lettera nella quale rimarca di avere bisogno di più tempo, ma questo stringe: le voci di corridoio danno per imminente l’avvio ufficiale della procedura di infrazione e, lo scorso novembre, è arrivata inoltre la sentenza con la quale il Consiglio di Stato ha annullato la validità della proroga al 2033 e imposto le gare entro due anni. Nel frattempo, mentre il governo italiano cerca una via di uscita, la conquista delle coste italiane da parte delle multinazionali è già cominciata.

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4 Commenti

  1. Ringrazio L’Indipendente ed apprezzo l’aver aperto una finestra su questo ignobile esproprio che si sta ordendo nei confronti di un pezzo importante della piccolissima imprenditoria famigliare italiana. Si sta programmando una sostituzione politica di chi gestirà commercialmente le nostre coste, che badate bene non verrano liberate o messe a disposizione come spiagge libere, come lasciano intendere alcuni commenti secondo me poco informati, ma bensì si agevolerà il passaggio dai nuclei famigliari ai grandi gruppi con tutte le conseguenze che ne potrebbero scaturire. Oggi l’accesso alle piagge organizzate è sostanzialmente libero ( esistono delle distorsioni in alcune zone, ma sono distorsioni appunto e andrebbero vietate), non si pagano biglietti e si può usufruire di una serie di servizi messi a disposizione di chiunque, docce, toilettes, campi da gioco spesso ad ingresso libero ,servizio bar, servizio ristorazione. Per quanto riguarda l’ombreggio certo è chiesto un pagamento in cambio di un servizio ben organizzato di pulizia di spiaggia e di affitto di lettini ed ombrelloni. Vi sono fasce di prezzo per tutti i gusti. Dispiace leggere commenti banali che vogliono omologare la categoria dei balneari unicamente come sfruttatori di giovani lavoratori e di un bene demaniale. Come tutte le categorie c’è chi lavora bene e con coscienza e c’è qualche sfigato che se ne approfitta. Il modello italiano è imitato in tutto il mondo, certo non è l’unico possibile , è opportuno alternare il modello in cui si offrono beni e servizi organizzati con spiagge che invece preservano la propria naturalità e sono disponibili come spiagge libere ed infatti ci sono ampie zone di costa selvagge in tutta Italia. Ma certo non possiamo rinnegare un modello vincente e che tra l’altro è capace costantemente di aggiornarsi andando incontro alle richieste della clientela senza per questo snaturare l’ambiente. Ma il discorso diventerebbe lunghissimo. Il punto è difendere i piccoli imprenditori, sopratutto famiglie , che hanno ben lavorato e portato avanti un modello di imprenditoria sano, in molti casi difendendo le tradizioni e l’identità del luogo in cui operano dai grandi gruppi internazionali e non che sfrutterebbero senz’altro in modo più arrogante il nostro patrimonio costiero. Lo affermo con certezza perché è sempre andata così ogni qualvolta si è agevolato questo passaggio di mano. Tra l’altro questo modello di sviluppo in mano a tanti piccoli imprenditori e famiglie ha permesso uno sviluppo democratico del nostro tessuto sociale garantendo un benessere diffuso, benessere che oggigiorno sembra si voglia ostacolare e smantellare sempre a vantaggio di grandi gruppi ed in nome di non si sa quale miglioramento competitivo . Vogliamoci bene, difendiamo la nostra microeconomia che è l’anima della società in cui viviamo.

  2. In effetti le spiagge dell’Italia appartengono agli italiani, quindi servono più spiagge libere, soprattutto in tutti quei posti incantevoli che caratterizzano il nostro litorale. Io metterei solo un baretto, che fa sempre comodo, ma ombrelloni e sdraio si portano da casa.
    Lo faremo, questo ed altro, una volta riconquistata la nostra sovranità e cacciato i criminali usurpatori che occupano in questo momento le nostre Istituzioni.

  3. Difendere le concessioni balneari è come difendere le licenze dei taxi: altissima resa, soggette a eredità (o rivendita) e scarsissimo ritorno per lo Stato (e per i cittadini). Hanno avuto anni di tempo per reinventarsi, non è una direttiva uscita l’altro ieri e il mondo deve andare avanti. Obiettivamente, gli stabilimenti costano sempre di più, chi ci lavora sappiamo bene che è sfruttato e mai veramente a norma (6 ore dichiarate, 14 effettive) e non si sa esattamente cosa sarebbe venuto a costare di più: il sole è gratis, l’acqua pure e la sabbia già l’hanno pagata una miseria. Il più delle volte non emettono nemmeno una ricevuta fiscale.
    Piuttosto si tutelassero i bagnanti garantendo più km di spiaggia libera (o gestite pubblicamente, tramite organizzazioni no-profit, quel che sia) se la paura è che le multinazionali cannibalizzino le spiagge e impongano prezzi impopolari.

    • Simone mi permetta , lei fa un insieme di affermazioni populiste e del tutto personali.A partire dal fatto che tutti i balneari sfruttano i propri dipendenti, una accusa decisamente falsa che veramente non si può più neanche sentire. Che ci siano degli imprenditori che sfruttano i propri dipendenti non è certo una novità ma che questo debba caratterizzare in particolare la categoria dei balneari me lo dovrebbe articolare un po’ meglio. Non generalizziamo. A me sembra una banalità assoluta. Per quanto riguarda i canoni, la categoria in questione ha sempre onorato ciò che gli è stato chiesto. Non ho contezza di affittuari che richiedano con forza aumenti d’affitto, neanche tra privati a meno che lei non mi voglia raccontare di bussare quotidianamente alla porta del suo padrone di casa, pretendendo di pagare di più di quello che le chiede. Assurdo.
      Le organizzazioni no-profit di cui parla molte volte si spartiscono lauti stipendi, dovrebbe saperlo, per questo riescono ancora a definirsi no-profit.
      Parliamo di cose che conosciamo per cortesia e sopratutto quando si accusa qualcuno, cerchiamo anche di dimostrarlo. Dibattiamo seriamente dimostrando anche di non essere stati completamente assorbiti dalla cultura TalK-Show

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