domenica 22 Dicembre 2024

Il “team etico” lanciato da Google sta diventando un clamoroso boomerang

La scorsa settimana altri due dipendenti Google hanno abbandonato il team etico che si occupa di supervisionare le strategie di sviluppo delle tecnologie di machine learning della Big Tech. Ad andarsene sono la ricercatrice Alex Hanna e l’informatico Dylan Baker, i quali sono defluiti direttamente nella Distributed AI Research (DAIR), non-profit fondata dall’ex donna a capo del Google’s Ethical AI.

Hanna ha giustificato le sue dimissioni lamentando che il clima lavorativo interno a Google sia «tossico» e incapace di dar voce a certe minoranze, Baker si è invece concentrato sul denunciare come la dirigenza sia sorda alle preoccupazioni dei suoi dipendenti. «La leadership di Google ha semplicemente reso ovvio che non sia interessata a permettere che i dipendenti possano influenzare la direzione presa dall’azienda, se detta direzione deve deviare da strategie fameliche e miopi, che puntano alla crescita a ogni costo», ha dichiarato senza peli sulla lingua.

Le motivazioni dei tecnici uscenti possono essere divergenti, tuttavia risulta chiaro che coloro che fanno parte del team etico di Google siano terribilmente insoddisfatti di Google stessa, la quale non perde l’occasione di dare l’impressione di aver fondato la sezione più come manovra di marketing che come tentativo di consolidare una bussola morale per il settore tecnologico. Le disavventure del Ethical AI sono infatti iniziate nel 2020, quando la co-leader del team, Timnit Gebru, ha pubblicato un report tutt’altro che favorevole nei confronti degli obiettivi dell’azienda, subendo pressioni perché il documento venisse ritirato.

Gebru sollevava allora perplessità sullo sviluppo delle intelligenze artificiali basate sui modelli di linguaggio, IA estremamente care alla Big Tech che la ricercatrice bocciava in quanto inquinanti, potenzialmente dannose nei confronti dei più vulnerabili e perché naturalmente portate a creare testi che si limitano a mimare contenuti preesistenti senza essere in grado di comprenderne davvero il senso. Dopo questo incidente diplomatico, l’atteggiamento di Gebru è stato giudicato «inconsistente con le aspettative riposte in un manager di Google» e il suo contratto è stato rescisso.

A distanza di qualche mese, la sua co-leader, Margaret Mitchell, è stata a sua volta allontanata e la gerarchia del gruppo etico è stata rivista silenziosamente così che Google potesse esercitare su di essa un maggiore controllo. In quei giorni la situazione era rovente e nessuno era rimasto sorpreso nello scoprire che diversi tecnici avessero immediatamente preso la decisione di andarsene in solidarietà con le due donne, tuttavia da allora la situazione si è raffreddata e queste ennesime dimissioni giungono come un fulmine a ciel sereno.

Ciò che si evince è che Google abbia deciso di spogliarsi di ogni vezzo etico per perseguire a pieno regime i suoi obiettivi e che la sua strategia odierna sia quella di sedare qualsiasi obiezione attraverso vacue rassicurazioni pubbliche e profondi legami economico-politici. Si prospetta dunque una battaglia per l’anima delle legislazioni occidentali: da una parte ci sono le Big Tech, le quali promettono ai Governi potenti mezzi con cui prosperare, dall’altra figurano invece realtà affini a DAIR, incentrate sulla promozione di leggi che vadano a inibire l’uso distruttivo del machine learning.

[di Walter Ferri]

 

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