Numerosi agenti della polizia penitenziaria del carcere di Sant’Anna sono stati iscritti nel registro degli indagati dalla Procura di Modena, per reati di lesioni aggravate e tortura. I fatti imputati risalgono alla rivolta carceraria che ha avuto luogo nel penitenziario di Modena l’8 febbraio 2020 e che si è conclusa con la morte di 9 reclusi. Alcuni detenuti, ascoltati dagli inquirenti in qualità di persone informate sui fatti, avrebbero identificato gli agenti come autori delle violenze dopo aver consultato un album fotografico messo a loro disposizione dai magistrati titolari dell’indagine.
La conferma sarebbe giunta a fine gennaio, con l’inaugurazione dell’anno giudiziario del distretto di Bologna. Lo riporta il quotidiano Domani, il quale scrive come la procuratrice generale facente funzioni Lucia Musti abbia in quell’occasione comunicato lo stato delle indagini. Numerosi agenti della polizia penitenziaria sarebbero stati iscritti nel registro degli indagati a fine 2021 per i fatti risalenti all’8 marzo 2020, quando nel carcere di Sant’Anna scoppiò la più grande rivolta degli ultimi 40 anni di storia penitenziaria italiana “per entità, ampiezza del coinvolgimento della popolazione detenuta, tragicità dell’epilogo”.
Le indagini, che si trovano ancora nella fase preliminare, avrebbero preso il via a seguito di alcuni esposti presentati dall’associazione Antigone e dagli avvocati delle vittime, dopo che 7 detenuti avevano raccontato le violenze subite dalla polizia. Gli esposti hanno portato all’apertura di un fascicolo contro ignoti, ora a carico di persone “note e identificate”.
“A me dispiace molto per quello che è successo” scrive un detenuto in una delle lettere fatte pervenire all’AGI, l’Agenzia Giornalistica Italia, “Io non c’entravo niente. Ho avuto paura. Ci hanno messo in una saletta dove non c’erano le telecamere. Amatavano [ammazzavano, ndr] la gente con botte, manganelli, calci e pugni. A me e a un’altra persona ci hanno spogliati del tutto. Ci hanno colpito alle costole. Un rappresentante delle forze dell’ordine, quando ci siamo consegnati, ha dato la sua parola che non picchiava nessuno. Poi non l’ha mantenuta”. Secondo quanto dichiarato dall’associazione Antigone, 4 decessi su 9 sarebbero avvenuti dopo che i detenuti erano stati trasferiti in altri penitenziari, quindi a rivolta conclusa.
Altri due fascicoli erano stati aperti, in riferimento all’accaduto: uno, ancora aperto, per i danni causati dai detenuti all’interno del penitenziario e l’altro riguardante i 9 decessi, archiviato perché i risultati delle indagini avrebbero imputato le morti all’overdose di metadone. Per questa sentenza l’associazione Antigone aveva presentato un ricorso, poi respinto, motivo per il quale il caso sarà portato all’attenzione della Corte europea per i diritti dell’uomo (CEDU).
Al momento dell’esplosione della rivolta, il carcere di Sant’Anna, che ha una capacità massima di 369 detenuti, si trovava con una popolazione di 560 individui incarcerati. Lo scoppio della pandemia, che nelle carceri si è diffusa rapidamente anche se con un certo ritardo, ha innescato un clima di paura, associato all’impossibilità di mantenere le distanze di sicurezza a causa del sovraffollamento e della mancanza dei Dispositivi di Protezione Individuali e di base, come mascherine e disinfettanti. A questo si aggiunsero le restrizioni imposte dalle istituzioni circa le visite dei familiari, che fecero da scintilla per lo scoppio della rivolta. Il bilancio fu di decine di feriti e 9 detenuti deceduti.
[di Valeria Casolaro]