L’osannata strategia adottata da ENI per allinearsi alla sperata sostenibilità ambientale entro il 2050 è fallimentare e l’azienda italiana, già principale emettitore italiano di gas serra, continua a investire senza sosta sul gas e sul petrolio. A dimostrarlo è il nuovo rapporto di Reclaim Finance, che condanna ENI e le altre major europee del settore. Un “grande fallimento” (major failure) perché le enormi aziende, per adattarsi concretamente agli obiettivi dell’accordo di Parigi sul clima e rispettare lo scenario Net Zero del 2021 World Energy Outlook, dovrebbero puntare alla riduzione drastica della produzione di petrolio e di gas fossile. Nel caso specifico dell’azienda italiana, tra l’altro quinta in Europa e diciannovesima a livello mondiale nel suo settore, la riduzione dovrebbe essere almeno del 51% entro il 2030 (secondo i modelli di Carbon Tracker). Però, anche se ENI dovesse rispettare completamente il proprio piano di riduzione tanto pubblicizzato, questo non basterebbe, anzi. Nel 2030 la produzione di combustibili fossili dell’azienda sarà ancora imponente e di quindici volte superiore all’energia ottenibile da fonti rinnovabili.
Per un vero percorso di decarbonizzazione è necessario diminuire le emissioni fin da subito e non aumentarle come fanno cinque delle sei major analizzate da Reclaim Finance, ENI compresa. Paradossalmente, la crescita è riscontrabile fin dagli Accordi di Parigi sul clima e continuerà indisturbata fino al 2024. Ed ecco come il cane a sei zampe, nonostante dica di impegnarsi a ridurre le emissioni dirette e indirette del settore esplorazione e produzione del 50% entro il 2024 e la sua intensità media di carbonio dei prodotti energetici venduti del 15% entro il 2030, sia ora in procinto di sviluppare nuovi giacimenti di petrolio e gas fossile. In pratica, nel breve termine, le emissioni dell’azienda stanno crescendo e non diminuendo. La promessa di una diminuzione rimane una fantasia per il futuro, mentre il presente continua ad essere danneggiato e l’impegno in obiettivi tanto lontani di neutralità del carbonio non mantiene il riscaldamento globale al di sotto di 1,5°C, come stabilito durante gli Accordi di Parigi.
Con i dati di Rystad si calcola che i nuovi investimenti di ENI porteranno all’aumento della produzione del 3,5% da oggi al 2024. Seguendo gli stessi piani dell’azienda italiana, la propria produzione upstream (ovvero l’insieme dei processi da cui ha origine l’attività di produzione dei combustibili) sarà in netto aumento fino al 2025 prima di potersi stabilizzare, dunque entro il 2030 la produzione crescerà ancora del 6%. Le stime di Reclaim Finance, Greenpeace Italia e ReCommon sulla base dei dati forniti dalla stessa società, parlano chiaro: nel 2050 la multinazionale avrà emesso almeno il 45,8% in più del budget assoluto di emissioni climalteranti, percorrendo una strada ben lontana dal fatidico limite imposto dagli Accordi di Parigi.
E i problemi non finiscono qui. C’è anche da considerare quanto la strategia di riduzione delle emissioni dell’azienda italiana si basi su una tecnologia alquanto costosa e che finora ha registrato più fallimenti che successi. Eppure, ENI continua a far credere che il suo sia un impegno reale e concreto, tanto da indurre a credere che alla base della filosofia aziendale ci sia una sincera attenzione per l’ambiente. Lo fa attraverso pubblicità e sponsorizzazioni che alla prova dei fatti si rivelano incongruenti, visto come l’80% del suo portfolio si basi sui combustibili fossili, ma solo l’8% degli annunci parla di combustibili. La volontà di ENI di raggiungere il Net Zero, le parole spese a più riprese per trasformarsi in una “compagnia energetica a emissioni nette zero” entro il 2050 e poi la scoperta di come stiano realmente le cose, fa pensare più a un ecologismo solo di facciata. Greenwashing come nelle proprie pubblicità.
[di Francesca Naima]