domenica 22 Dicembre 2024

Xylella, nuove prove sulle origini del batterio killer

Xylella fastidiosa, il batterio che ha letteralmente devastato il paesaggio salentino, è arrivato in Puglia dal Costa Rica ‘a bordo’ di una pianta da caffè infetta, probabilmente, nel 2008. Queste nuove informazioni sulle origini del patogeno dell’olivo provengono da  un recente studio condotto da un gruppo di ricerca internazionale di cui fa parte anche il Centro Nazionale delle Ricerche italiano. Scoperte, inoltre, specifiche mutazioni nel batterio adattato agli olivi pugliesi che aprono nuove porte per soluzioni più mirate. Geni che potrebbero diventare bersagli per contrastare la patologia alterando il patogeno fino a renderlo innocuo.

I ricercatori, tra il 2013 e il 2017, hanno raccolto campioni biologici da oltre 70 olivi affetti da CoDiRO, il Complesso del Disseccamento Rapido di cui Xylella fastidiosa è responsabile. Sfruttando un nuovo protocollo per estrarre il Dna batterico, gli scienziati si sono poi concentrati sulla variabilità di quest’ultimo, confrontandolo, inoltre, con quattro campioni analoghi di piante da caffè del Costa Rica. Studi precedenti, infatti, avevano già individuato in quest’ultima specie dell’America centrale il più probabile serbatoio originario. Ora, la conferma: i risultati hanno difatti evidenziato poche differenze genetiche tra i campioni suggerendo che il patogeno è arrivato in Italia con un’unica introduzione dal Costa Rica. Valutando poi il tasso medio di mutazione del Dna batterico è stato possibile risalire anche ad un preciso anno di introduzione in Italia: il 2008. Considerando che il periodo di incubazione della patologia può durare più di due anni e che le prime segnalazioni di alberi infetti da parte degli agricoltori pugliesi sono giunte nel 2010, tale evidenza appare ancor più verosimile.

Xylella fastidiosa è un patogeno altamente invasivo. Si trasmette alle piante dagli insetti vettori che si nutrono della loro linfa, provocando gravi conseguenze in circa 595 specie diverse. In Europa l’epidemia ha fatto la sua comparsa proprio in Puglia, per poi diffondersi in Francia, Spagna e Portogallo. È però tra le province di Lecce e Brindisi dove ha avuto gli impatti peggiori, tanto da essere definita «la peggior emergenza fitosanitaria al mondo». Le varietà di olivo tipiche del Salento, difatti, sono tra le più vulnerabili alla patologia. Tra deceduti e abbattuti, ad oggi, sono già milioni gli alberi che non produrranno più olive con disastrose conseguenze per una terra culturalmente ed economicamente fondata sul settore olivicolo. Già secondo le stime del 2019, erano almeno 4 milioni le piante che avevano perso del tutto la loro capacità produttiva. Ogni anno sono state perse 29 mila tonnellate di olio d’oliva, pari in media a circa il 10% della produzione olivicola italiana, per un totale di 390 milioni di euro complessivi di valore della mancata produzione. Senza contare poi gli impatti sul paesaggio, ora, visibilmente cambiato.

Un’epidemia che crea ancora problemi e in continua evoluzione, sebbene appaia oggi meno invadente. «Negli ultimi anni – ha commentato Maria Saponari, ricercatrice del Cnr e tra gli autori dello studio – abbiamo riscontrato focolai nella zona di Bari, a nord, ma la diffusione è inferiore, grazie alle misure di contenimento e al fatto che questa zona è più diversificata, con colture e paesaggi diversi che frenano la trasmissione». Misure di contenimento che oggi restano l‘unica arma a disposizione. Allo scopo di eradicare il batterio, inizialmente, si è puntato tutto, in quanto unica soluzione tangibile, sull’abbattimento degli olivi infetti e di quelli nei loro paraggi. Già da qualche anno, però – secondo uno studio del 2017 – si è appurato come non sia più possibile eliminarlo dal territorio salentino. In questa fase, quindi, intervenire biotecnologicamente andando a modificare il batterio in funzione delle nuove evidenze genetiche potrebbe contribuire a risolvere l’emergenza. Allo scopo, sarebbe necessario creare un ceppo mutato di Xylella, con geni silenziati o aggiunti, «ma tali studi – secondo Saponari – saranno difficili da eseguire in Italia, a causa della mancanza di impianti con le strutture di quarantena necessarie per manipolare il patogeno».

[di Simone Valeri]

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