giovedì 21 Novembre 2024

8 marzo: perché c’è ancora bisogno di una giornata per la parità di genere

In Italia, la “festa della donna” esiste in maniera ufficiale dal 1945 e a chiederne l’introduzione fu l’Unione Donne in Italia (UDI). L’8 marzo del 1946, fu celebrata per la prima volta nel Belpaese quella che in realtà nel resto del mondo viene chiamata – ben più correttamente – la Giornata internazionale dei diritti della donna, senza ridurla a una “festa”. L’Italia era arrivata tardi rispetto ad altri Paesi, basti pensare che la Giornata fu pensata originariamente nel 1907, durante il congresso socialista che vide protagonisti alcuni tra i maggiori marxisti del tempo. Due anni dopo negli Stati Uniti nacque ufficialmente il Woman’s day. In Europa invece, la data simbolo è quella dell’8 marzo 1917 quando ci fu un enorme sciopero organizzato dalle donne a San Pietroburgo. Durante le manifestazioni in Russia, le donne rivendicavano la fine della guerra. Una giornata tanto importante da essere considerata la vera radice dei movimenti a venire e di quella che è poi diventata la Rivoluzione russa.

La protesta delle donne russe dell’8 marzo 1917

L’8 marzo fu designato come giorno ufficiale dalle Nazioni Unite nel 1975, ma il primo statuto internazionale risale al 1945. Intanto, nella bella Penisola le donne dovevano ancora combattere purché i propri diritti fossero riconosciuti e si raggiungesse la parità di genere; e ancora oggi, c’è del lavoro da fare. Quando si tenne la famosa manifestazione femminista dell’8 marzo 1972 in piazza Campo de’ Fiori a Roma, le donne chiedevano la legalizzazione dell’aborto e la liberalizzazione dell’omosessualità: intollerabile per una società controllata dalla Democrazia Cristiana, tanto attenta al “bene comune” quanto pronta a ordinare alla polizia di caricare le manifestanti a suon di manganellate. La battaglia delle donne in Italia non è però solo relativa ai diritti ed è ancora accesa, per quanto dei miglioramenti siano ormai tangibili.

Uno scatto della manifestazione femminista a Campo de’ Fiori del 1972

Il grande problema è la mentalità patriarcale, l’idea malsana di famiglia tradizionale cara al cattolicesimo e un machismo che rende gli uomini prima vittime, poi ancora troppo spesso pericolosi attuatori di comportamenti violenti. Machismo che poi non è solo caratteristica degli uomini, ma anche di certe donne. Pier Paolo Pasolini è magistralmente riuscito a cogliere lo spirito della mentalità italiana: guardando oggi Comizi d’Amore, documentario in cui l’intellettuale rivolge a italiani di qualsiasi provenienza e classe sociale domande “scomode” su svariati tabù e in generale sul mondo del sesso, si capisce come mai ancora oggi esistano certi perbenismi e un atteggiamento moralista, troppo spesso padre di discriminazioni e rabbia. Erano gli anni Sessanta, poco prima dell’abrogazione del reato di adulterio (1968), dell’introduzione del divorzio (1970), la riforma del diritto di famiglia (1975) e l’introduzione dell’aborto (1978). Ancora più tardi, solo il 5 agosto 1981 con la legge 442, fu finalmente abolito il diritto d’onore.

Una panoramica che almeno in parte riesce a spiegare perché la situazione in Italia sia ancora triste, e sono i dati a parlare: Secondo il Global Gender Gap Index, il rapporto per valutare i progressi fatti verso la parità di genere nei settori della politica, dell’economia, dell’istruzione e della salute dei 153 paesi che il World Economic Forum analizza, l’Italia nel 2019 si classificava al 76esimo posto. Può rincuorare il pensiero che negli ultimi anni, comunque, ci sia stato un miglioramento: secondo il rapporto dell’associazione universitaria Alma Laurea nel 2020 le donne non solo sempre più donne frequentano percorsi universitari (quindi l’accesso allo studio è “ormai” garantito) ma fanno percorsi spesso ben più duraturi dei colleghi uomini. Eppure, la situazione nel mondo lavorativo è ancora piena di diseguaglianze e ingiustizie. Nel mercato del lavoro gli uomini continuano a essere più valorizzati e meno soggetti a trattamenti alle volte indicibili.

Oltre al fatto che a cinque anni dal titolo universitario il tasso di occupazione delle donne laureate è all’85,2 percento mentre quello degli uomini è al 91,2 percento, in media coloro di sesso maschile guadagnano fino al 20 percento in più delle colleghe e sono loro a ricoprire le migliori posizioni, soprattutto quando le donna minacciano di essere “fertili”. Poi dal 2021 il servizio studi della Camera ha predisposto un paragrafo dedicato all’analisi di impatto di genere. Ci si prova a fare passi avanti, ma si rimane paradossalmente molto statici: è anche stato modificato il Codice delle pari opportunità (Dgs. 198/2006) per ridurre le differenze sul piano retributivo e di crescita professionale. Altra novità sono la “certificazione della parità di genere” , poi una nozione di discriminazione e la “clausola di condizionalità” per l’aumento dell’occupazione femminile, oltre che giovanile. Misure teoricamente utili ma ancora da vedere pienamente realizzate, mentre non è certo quanti e quali cambiamenti effettivi esse apporteranno.

Corteo “Non una di meno” a Bologna

Intanto, rimane in auge una mentalità distruttiva per le donne spesso dettata anche da una profonda ignoranza, nel senso che letteralmente si ignora e si è seriamente disattenti. Proprio così si diffondono informazioni non del tutto corrette, come il famoso incendio (realmente avvenuto) nella fabbrica Triangle, che avrebbe dato il via alla ricorrenza odierna. L’incendio però si dilatò il 25 marzo 1911 e non l’8 marzo. Sembra un nonnulla, ma un tale errore storico riconferma ancora una volta la tendenza a vedere le donne ben più deboli di quello che sono, non ricordando che in realtà, la Giornata nasce da donne protagoniste che manifestavano contro qualcosa di enorme come la guerra e non semplici “vittime” bisognose di aiuto. Oppure, in Italia si fatica a dare appoggio e voce a figure che da anni combattono anche le ingiustizie interne a movimenti che dovrebbero abbracciare e non allontanare. Come Alice Walker e il suo womanism poi evoluto in Universalism un “nuovo” femminismo questa volta senza separazione alcuna al suo interno. Però, in Italia, si continua a credere che basti fare gli auguri per una “festa” e, perché no, regalare una mimosa.

[di Francesca Naima]

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1 commento

  1. Del valore spirituale e dello spessore morale delle donne si ha una grande dimostrazione in questi tempi di guerre e pandemie.
    Coraggio e determinazione da vendere, in prima linea contro la viltà del “governo dei migliori”, intraprendenza, sensibità ed empatia completano il nostro “orgoglio” nazionale,.
    Le donne italiane sono un vanto per questo Paese, c’è d’andarne superbi come diceva Edmondo De Amicis

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