Fénix è una delle più grandi miniere di nichel, di proprietà della Solway, situata nell’America Centrale, più precisamente in Guatemala. Rifornisce compratori di ogni parte del mondo, dall’acciaieria finlandese Outokumpu all’italiana Acciai Terni Spa, una delle più grandi del nostro Paese e probabilmente l’unica a riuscire a creare prodotti in acciaio inox. La Solway, invece, è diretta da impresari russi e estoni, e anche se ha la sua sede in Svizzera, controlla la miniera di Fenix tramite due aziende sussidiarie registrate in Guatemala.
La stessa miniera, che porta sulle nostre tavole posate e pentole, sta distruggendo da anni l’ambiente e la vita degli abitanti locali, con la complicità dei proprietari e del Governo locale, che utilizzano tattiche e sotterfugi per mettere a tacere giornalisti e attivisti. Da queste vicenda ne è nata un’inchiesta, chiamata “Segreti minerari”. Spieghiamo perché.
Come si sono svolti i fatti? Nel 2019 alcuni media internazionali hanno raccontato le vicende che nel tempo si sono ripetute attorno alla miniera, descrivendo ingiustizie e soprusi. Due anni dopo, Forbidden Stories ha ricevuto una segnalazione anonima con migliaia di documenti in allegato, dati che l’organizzazione ha condiviso con 65 giornalisti di 20 media partner. Secondo i file, i funzionari di Solway Investment Group (società proprietaria della miniera) avevano a lungo nascosto le prove dei danni che il giacimento stava apportando al lago Izabal e a tutto il territorio circostante.
Family & friends wait for Cristobal Pop, Maya Q’eqchi Fisher from El Estor, who denounced contamination of Lake Izabal by CGN mining operations & ended up criminalized. No evidence & request to drop charges, but Judge has sent Pop to pretrial detention. Legacy of Cdn mining. pic.twitter.com/P5s0fpvY9l
— jackie sue (@pajarolindo) January 22, 2019
Secondo quanto riportato da IrpiMedia, la segnalazione anonima conteneva “due terabyte di dati, comprensivi di oltre 470 caselle email e otto milioni di documenti, tra cui bolle di accompagnamento dei carichi e informazioni finanziarie”. In queste cartelle c’erano prove schiaccianti riguardo ai danni ambientali provocati, l’elenco dei piani per corrompere i capi Maya e pagare mazzette a polizia e giudici, fino a veri e propri progetti dettagliati per sfrattare le comunità indigene. Insomma, i documenti hanno rivelato una lista di piani e strategie che la Solway voleva mettere in atto (e in parte ci è riuscita) per eliminare le proteste dei pescatori e dei contadini, e svolgere una continua attività di sorveglianza ai danni di attivisti e giornalisti.
Anche se per anni la popolazione indigena locale si è opposta alla miniera, denunciando l’inquinamento dell’aria, deforestazione, erosione del suolo ma soprattutto la contaminazione del più grande bacino di acqua del Guatemala, la svizzera Solway ha sempre negato tutto, dichiarando di “rispettare la legge e i regolamenti ambientali” (riportando le parole del suo amministratore delegato Dan Bronstein).
Come hanno fatto gli abitanti del posto ad accorgersi di quanto stava accadendo? Durante la primavera del 2017 sulle sponde del lago Izabal, i pescatori si accorgono della presenza di una patina rossa sulla sua superficie. Non ci impiegano molto a capire che la causa non poteva che essere la miniera poco distante. Per la società, si trattava invece solo di alghe.
Una situazione che aveva cominciato a manifestarsi già qualche tempo prima, perché secondo i pescatori «dal 2016 abbiamo visto lamantini, lucertole, pesci e tartarughe morire». Da quel momento gli abitanti sono scesi in strada a protestare, chiedendo indagini più approfondite e accertamenti. Ma le richieste sono state azzittite con i colpi d’arma da fuoco. Sugli omicidi non si indaga, e si scopre che i giornalisti che avevano cercato di trovare delle risposte erano stati in realtà filmati e fotografati: tenuti, cioè, sotto stretto controllo.
Ad oggi la situazione non sembra destinata a migliorare. Nell’ottobre del 2021, “la regione in cui opera la miniera è stata posta sotto assedio dal presidente guatemalteco Alejandro Giammattei. L’esercito è stato inviato a proteggere le filiali della compagnia svizzera”, si legge su Irpi.
Nonostante proteste e denunce, la miniera ha ripreso a funzionare a gennaio “dopo un processo consultivo con le comunità indigene che si è concluso in modo soddisfacente”, ha riferito il Ministero per le miniere e l’energia del Guatemala. Probabilmente a colpi d’arma da fuoco.
[di Gloria Ferrari]