Zhao Lijian, portavoce del Ministero degli Esteri cinese, ha sollevato l’attenzione su un’ennesima insidia presente sul territorio ucraino, quella dei centri di ricerca biologica, centri che potrebbero facilmente cadere nelle mani di malintenzionati. Nello specifico, stando alle parole di Zhao, sui territori contesi sarebbero presenti ben 26 biolab collegati per vie traverse al Dipartimento della Difesa statunitense, dettaglio che certamente non mette in buona luce le manovre della Casa Bianca.
Il diplomatico di Beijing non ha mancato di chiedere spiegazioni a Washington, tuttavia perplessità affini sono state sollevate anche dagli stessi senatori americani, i quali hanno indagato lo stato delle cose scomodando la Commissione delle relazioni estere. In tale sede, Victoria Nuland, Segretaria di Stato, ha parzialmente confermato le voci di corridoio, evitando accuratamente di scendere nei dettagli.
«L’Ucraina ha centri di ricerca biologici, il che solleva preoccupazioni legate al fatto che le truppe e le forze russe possano voler assumere il controllo delle strutture», ha dichiarato Nuland. «Per questo motivo stiamo lavorando con gli ucraini per capire come possano prevenire che i materiali di ricerca finiscano nelle mani dell’esercito russo, qualora questi si avvicinasse».
Cosa ci sia dentro a quei laboratori, difficile a dirsi. Formalmente, le carte rivelano che gli USA abbiano deciso di sostenere attraverso il Department of Defense’s Biological Threat Reduction Program molteplici nazioni ex-sovietiche nell’ottica di sviluppare un programma di analisi di patogeni e tossine utile a contrastare epidemie «deliberate, accidentali o naturali». Uno scopo virtuoso che, accusano gli avversari politici, non è però necessariamente garanzia del mantenimento di un comportamento retto.
Come ci insegna il caso di Wuhan, questo genere di biolab custodiscono informazioni estremamente sensibili, quindi non è raro che i Governi preferiscano fornire risposte vaghe a domande specifiche e la trasparenza viene abbandonata in favore di un’omertà che finisce immancabilmente con il fomentare dubbi. La presenza dei laboratori di ricerca in Ucraina è stata dunque sfruttata negli ultimi anni da Russia e Cina per intavolare narrative pungenti, le quali sono state più recentemente abbracciate anche dagli influencer dell’alt-right statunitense, primo tra tutti da quell’Alex Jones noto per InfoWar.
Quello che sappiamo è che già nel 2020 la Security Service of Ukraine (SBU), l’Intelligence ucraina, aveva etichettato l’esistenza di biolab stranieri in terra ucraina come “fake news”, esplicitando che le strutture in questione fossero da considerarsi in tutto e per tutto in mano a Kiev, quindi strettamente sorvegliate dal Ministero della Salute locale e gestite in conformità alle leggi nazionali.
Una rassicurazione che certamente non è stata accolta dalla Russia, la quale, attraverso la portavoce Maria Zakharova, sta iniziando a intavolare una lettura dei fatti il cui scopo è suggerire che i laboratori in questione stessero creando armi biologiche coltivando peste, antrace e colera. A distanza impossibile stabilire se questa denuncia poggi su basi o se possa essere una strategia diplomatiche sostanzialmente analoga a quelle adottate in passato dagli Stati Uniti per invadere l’Iraq, ovvero assicurare l’esistenza di pericolosi armamentari in realtà inesistenti per giustificare l’azione militare.
[di Walter Ferri]
Già il fatto che il paese con il minor livello di prodotto interno lordo, quale l’Ucraina, abbia la possibilità/necessità di aprire dei laboratori del genere sul proprio territorio dovrebbe perlomeno generare dei legittimi sospetti.