L’Arabia Saudita ha comunicato sabato di aver giustiziato 81 persone, condannate a morte per diversi crimini tra cui omicidio “di uomini, donne e bambini innocenti”, terrorismo e appartenenza a gruppi militanti come al-Qaida o a quello dei ribelli Houthi (presente in Yemen). Qui nello specifico una coalizione guidata dall’Arabia Saudita sta combattendo i ribelli yemeniti Houthi, sostenuti dall’Iran dal 2015, nel tentativo di riportare al potere il Governo locale riconosciuto a livello internazionale. In generale le uccisioni hanno riguardato 73 sauditi, sette yemeniti e un siriano. È una delle più grandi esecuzioni di massa nella storia moderna del paese, tutte avvenute in un giorno solo.
Il numero di giustiziati ha superato persino il bilancio di una storica esecuzione di massa avvenuta nel gennaio 1980, quando 63 militanti furono condannati per aver sequestrato la Grande Moschea della Mecca nel 1979, un attacco ritenuto gravissimo perché oltraggioso nei confronti del regno e di un luogo sacro all’islam. Dopo di allora, l’ultima esecuzione di massa era avvenuta nel gennaio 2016, quando il sovrano aveva deciso di giustiziare 47 persone, tra cui un importante religioso sciita dell’opposizione che aveva organizzato delle proteste anti governative.
#Execution is an uncivilized penalty & punishing the human being for his/her faith is a barbaric deal. #اعدامات_السعودية #عربستان_سعودى #اعدام #ArabiaSaudita #Shiagenocide pic.twitter.com/pevp9WExUu
— حسن اسدی زیدآبادی (@hasanasadiz) March 13, 2022
L’ultimo episodio poi nel 2019, quando l’Arabia Saudita decapitò 37 cittadini per presunti crimini legati al terrorismo. In quell’occasione il sovrano decise anche di “appendere” a un palo in pubblica piazza il corpo senza vita (e senza testa) di un presunto estremista, come segno di avvertimento per gli altri.
Non è raro, dunque, che l’Arabia Saudita condanni a morte i propri cittadini. È più raro, invece, che scelga di farlo in una giornata sola, una scelta che secondo alcuni analisti può essere stata dettata dalla volontà di concentrare le esecuizione mentre l’attenzione mondiale è concentrata sulla guerra in Ucraina.
Anche se il numero delle condanne è diminuito durante la pandemia da Coronavirus, il re Salman (in carica da gennaio del 2015) e suo figlio Mohammed bin Salman (principe ereditario, Primo Vice Primo ministro e ministro della Difesa dell’Arabia) hanno continuato a concedere molte autorizzazioni. Secondo l’Agenzia di stampa governativa saudita, i sovrani avrebbero garantito che agli accusati “il diritto a un avvocato e tutti i pieni diritti della difesa, ma Il regno tuttavia continuerà ad assumere una posizione rigorosa e incrollabile contro il terrorismo e le ideologie estremiste”. Ovviamente le esecuzioni hanno suscitato immediate critiche internazionali. Ali Adubusi, il direttore dell’Organizzazione saudita europea per i diritti umani, ha aggiunto che i carcerati sono stati anche torturati prima della morte e costretti a subire processi svolti in segreto.
Secondo il principe è una questione religiosa, scritta nel Corano, per cui chi toglie la vita a qualcun altro merita lo stesso trattamento: «Indipendentemente dal fatto che mi piaccia o no, non ho il potere di cambiarlo». Non è esattamente così. L’editorialista del Washington Post, Jamal Khashoggi, della cui morte e smembramento è accusato proprio il principe Mohammed bin Salman, non aveva commesso alcun crimine. Anzi, si trovava in Arabia per supervisionare e raccontare degli attacchi aerei diretti allo Yemen e che hanno ucciso centinaia di civili. Come si giustifica il suo omicidio? Nella monarchia assoluta alleata degli Stati Uniti, la stessa che Matteo Renzi ebbe l’ardire di definire “culla del rinascimanto” i diritti umani continuano ad essere calpestati. Il tutto mentre il Governo italiano, con una decisione dello scorso luglio, ha pure deciso di allentare le restrizioni sulla vendita di armi al governo saudita.
[di Gloria Ferrari]