Una ricerca scientifica dimostra come alcuni batteri possano diventare una valida alternativa ecologica ai fertilizzanti chimici utilizzati nell’agricoltura, la cui maggior parte viene prodotta tramite l’utilizzo di combustibili fossili. Questa scoperta, quindi, potrebbe mitigare una delle principali fonti d’inquinamento ambientale.
Il batterio in questione è l’Azotobacter vinelandii, microrganismo presente nella porzione di suolo che circonda le radici di alcune colture (rizosfera). Questo, grazie a un processo di editing genetico, può essere usato per trasferire l’azoto nelle piante in base alle esigenze, ovvero a quanto ciascuna coltura necessita e riesce ad assorbire, senza eccessi. I ricercatori hanno testato il procedimento scientifico su alcune piante di riso, facendo in modo che l’Azotobacter producesse azoto costantemente, indipendentemente dalle condizioni ambientali, in quantità sufficienti a fertilizzare le coltivazioni.
L’obiettivo della ricerca consiste nel trovare una soluzione alla produzione eccessiva di fertilizzante azotato. Difatti, quando gli agricoltori impiegano i fertilizzanti chimici a base di azoto nei campi, ne usano in quantità superiori rispetto a quella assorbita effettivamente dalle colture. Il resto si riversa in fiumi, laghi e oceani con conseguenze devastanti, come la fioritura algale, ovvero la nascita di piante microscopiche che causano la riduzione di ossigeno e luce, e ospitano i cianobatteri, portatori di tossine mortali per gli ecosistemi acquatici.
Una corretta adozione dei biofertilizzanti derivati dall’Azotobacter vinelandii quindi, ridurrebbe l’inquinamento, i costi di produzione, e migliorerebbe la produzione alimentare. Pertanto, il prossimo step degli scienziati sarà la creazione di gruppi batterici differenti, al fine di produrre azoto a velocità diverse, soddisfacendo così le differenti esigenze delle colture.
[di Eugenia Greco]
Probabilmente si può qui collegare il concetto di microorganismo effettivo che è stato sviluppato dal microbiologo giapponese Teruo Higa, Professore dell’Università di Ryukyus in Okinawa (Giappone). Non si tratta di aggiungere qualcosa di creato dall’uomo, che potrebbe cambiare l’equilibrio naturale. Al contrario. E’ come un riportare natura alla natura.
E’ il solito presupposto scientista: intervento sulla natura. Non è introducento un altro fattore che risolviamo il problema della consunzione di terra. Bisogna eliminare la coltivazione industriale e tornare ad un metodo naturale, privo di fertilizzanti chimici di qualsiasi tipo, che favorisca la biodiversità in modo naturale e non artificiale perché ormai non sappiamo più prevedere le conseguenze a lungo termine delle nostre azioni dirette sull’ambiente.
Non solo i batteri sono utili, pure i funghi. Cercate “micorizzazione” sul web. Una pratica che andrebbe abbandonata è invece l’aratura profonda, che porta alla superficie terreno poco fertile e rilega in profondità quello utile con humus.