‘La condizione umana’, 1933, è in quell’anno titolo di un quadro di René Magritte e di un romanzo di André Malraux. Magritte mostra da surrealista le ambiguità di un quadro di paesaggio con una cornice equivoca, che fa confondere realtà e sua rappresentazione.
Il romanzo di Malraux segue con ansia crescente, da thriller cinematografico, l’insurrezione di Shanghai del 1927 con l’emergere degli scontri delle fazioni e il cambiamento di rotta di Chiang Kai-shek.
Nel tumulto della lotta, nel destino travolgente di milioni di persone, quello che si manifesta è però la solitudine e l’incrocio di inganni e agguati che minano la fiducia in un potere che si nutre di tradimenti, mettendo nelle condizioni ciascuno di decidere da solo, quasi con il puro istinto di sopravvivenza.
Si tratta di una tematica presa in carico qualche anno dopo, 1938, anche da Jean Paul Sartre ne “La nausea”. Un’opera, quella di Malraux, che avrebbe ispirato lo straordinario film: “Apocalypse now” di Francis Ford Coppola: le guerre coinvolgono le masse ma sono decise da pochi individui la cui esaltazione è causa psicologica e ambientale di guasti irreparabili.
La follia è prima di tutto paura, poi solitudine, scriveva Dostoevskij in “Delitto e castigo”, ma ancor prima è perdita dei contorni tra illusione e realtà, come mostrava la finestra sul mondo di Magritte.
Una realtà, però, totalmente disabitata, nelle mani di pittori che non conosciamo perché restano al di fuori di quel che ci è dato vedere.
[di Gian Paolo Caprettini]