Il 17 marzo il Senato argentino ha concesso la sua autorizzazione all’amministrazione del presidente Alberto Fernández per ristrutturare il debito del governo di 45 miliardi di dollari con il Fondo monetario internazionale (FMI) ed evitare un tracollo finanziario. Che significa? Il debito contratto dal paese (che corrisponde a circa 39,5 miliardi di euro) si rifà al grosso prestito di 57 miliardi di dollari (circa 51 miliardi di euro) che il Fondo Monetario Internazionale aveva fatto all’Argentina nel 2018, per evitare che lo stato, in sintesi, fallisse. Il prestito era stato concordato dall’allora presidente Mauricio Macri, con l’intento di fa fronte alla crisi monetaria. Stando agli accordi precedenti, l’Argentina avrebbe dovuto restituire al FMI un primo “acconto” di 19 miliardi quest’anno, poi 19,27 nel 2023 e 4,856 nel 2024. Cioè più di 40 miliardi in 3 anni. Invece, dopo due anni di trattative, i pagamenti saranno “rateizzati” per tutto il prossimo decennio, (fino al 2032), ma partiranno dal 2024, sotto la supervisione stessa dell’FMI. Per il governo il riaccordo è essenziale per evitare un collasso totale, che andrebbe, a suo dire, ad affossare ancora di più l’economia.
La votación a favor del acuerdo con el #FMI evitó que Argentina caiga en default y se complique aun más el escenario económico. #JxC estuvo a la altura. Lo que falta es que el #kirchnerismo nos diga como piensa aplicar el plan para alcanzar las metas que acordaron.@GugaLusto pic.twitter.com/sMlfwTfFJv
— Maximiliano Pullaro (@maxipullaro) March 18, 2022
Il rifinanziamento era già stato approvato dalla Camera dei Deputati la scorsa settimana: per rendere a tutti gli effetti ufficiale la nuova soluzione mancherebbe solo la votazione del consiglio del FMI. A proposito, cos’è il Fondo monetario internazionale? Ha sede a Washington, ed è un’istituzione internazionale cui partecipano 188 paesi, con la finalità di “promuovere la stabilità economica e finanziaria”. Sta succedendo anche in Argentina?
Gli argentini in realtà protestano da molto tempo, scendendo in piazza per dire no al patto con il Fondo Monetario Internazionale (FMI). Lo scorso 8 febbraio un corteo di 200 raggruppamenti ha sfilato contro l’accordo, mentre il 10 marzo alcuni manifestanti argentini hanno bruciato pneumatici, scagliato pietre e rotto finestre fuori dal palazzo del Congresso, per mostrare dissenso contro il nuovo accordo. Perché gli argentini sono così scontenti? Continuare ad essere in debito con il FMI, per larga parte della popolazione rappresenta un ulteriore “soffocamento” dell’economia nazionale.
'No to the IMF': thousands protest in Argentina against debt deal https://t.co/0tkAEGuh8S pic.twitter.com/AO1GaMswbs
— Reuters (@Reuters) February 9, 2022
Il prestito infatti avrebbe dovuto essere impiegato per correggere la finanza pubblica, gli squilibri fiscali, rafforzando l’esportazione e riducendo l’altissimo tasso di inflazione che da anni affligge il Paese. Ma per molti giuristi ed economisti non c’è dubbio che in realtà il piano sia stato una truffa fin dall’inizio. L’accordo iniziale (di 57 miliardi di dollari poi ridotto da Fernández a 44), conteneva già in partenza obiettivi impossibili da raggiungere e la bilancia dello stato sarebbe stata solo più appesantita dalla restituzione del debito. Il rischio era inoltre che la maggior parte di questi fondi finisse investito in altri paesi o utilizzato in maniera illecita. E così è stato.
A tal proposito, Celeste Fierro, leader del Movimento Socialista dei Lavoratori, aveva affermato che «il debito è una truffa: si tratta di soldi usciti con la fuga di capitali per sostenere la campagna elettorale di Macri. Soldi che non sono mai stati spesi per risolvere i problemi strutturali del Paese».
L’Argentina si era già trovata in una situazione simile a causa gli effetti del debito estero: nei primi anni 2000, a seguito dell’indebitamento messo in atto dalla dittatura militare, il Paese subì un collasso economico e sociale che portò la disoccupazione al 40% e alla contrazione del più grande debito estero nella storia economica del mondo. Le proteste che seguirono i tagli ai settori dell’educazione, della sanità e dei servizi pubblici spaccarono il Paese, portando a una grave e violenta crisi sociale.
[di Gloria Ferrari]