“Stabilire nuovi modi e mezzi per migliorare la nostra capacità collettiva di difendere la sicurezza dei nostri cittadini”. Sono queste le parole contenute all’interno del documento, definito “Bussola Strategica”, con cui il Consiglio europeo ha annunciato il 21 marzo di voler ridisegnare il proprio asset militare. Come? Rafforzando entro il 2030 la politica di sicurezza e di difesa dell’UE e puntando su cooperazione e collaborazione tra i Paesi membri. La realtà è però meno ambiziosa della carta. Se i piani dovessero rimanere questi, la nuova collaborazione stabilita dall’UE nell’ambito della difesa militare porterà i primi risultati concreti non prima del 2025, quando cioè entrerà in funzione la Capacità Ue a schieramento rapido. Questa prevede che, nel caso di bisogno, venga messa a disposizione, grazie alla cooperazione degli stati membri, un battaglione composto da soli 5 mila soldati, da affiancare alla NATO. Insomma, quello che il Consiglio europeo aveva presentato come un grande stravolgimento delle dinamiche militari, altro non è che l’aggiunta di una piccola brigata di uomini armati.
Chi sono questi 5.000 militari? Fanno parte dell’European Union Rapid Deployment Capacity, provengono da diversi Paesi e dovrebbero attivarsi su decisione del Consiglio per intervenire in azioni di disarmo, missioni umanitarie, di assistenza militare, prevenzione dei conflitti, lotta al terrorismo e gestione delle crisi. Situazioni che negli anni si sono più volte ripetute, ma questi soldati, già presenti in realtà nella strategia UE a partire dal 2007 e divisi in gruppi da 1.500, non sono mai stati adoperati perché il loro intervento deve essere approvato da tutti gli Stati membri. Un passaggio che di certo fa a pugni con quella che dovrebbe essere la rapidità dell’intervento.
«Non vogliamo creare un esercito europeo», ha chiarito Josep Borrell, l’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza. «Ogni Stato manterrà il proprio esercito, ma dobbiamo lavorare insieme per coordinare meglio le nostre spese militari». Ed ecco il focus della questione. Nel 2020 i 27 Paesi UE hanno speso quasi 200 miliardi di euro in sistemi di difesa militare: una cifra che corrisponde circa alll’1,5% del Pil europeo. Per capirci meglio, si tratta di una somma di denaro quattro volte quella della Russia e maggiore di quella della Cina. Una spesa molto grossa per il continente, che però non porta di certo all’ottenimento degli stessi risultati delle altre nazioni sopra citate. L’obiettivo, ribadito da Borrell, è infatti quello di “spendere meglio” i fondi destinati alla difesa ed evitare “inutili duplicati” (come i 5.000 soldati pronti a combattere): al momento le prospettive future non sembrano orientarsi in questo senso.
Anche se la strategia dovrà essere ufficialmente validata dai leader nazionali nel prossimo Consiglio europeo, che l’Europa spendesse male i suoi fondi destinati alla difesa era già noto (ma se ne sta parlando soprattutto adesso). Facciamo un esempio.
Dopo lo scoppio del conflitto in Ucraina le vendite degli aerei da caccia F35 è notevolmente aumentata. Il problema è che questi, prodotti dalla statunitense Lockheed Martin e assemblati in Italia tramite la società Leonardo, secondo molti esperti militari presentano numerose problematiche. L’elemento più importante è la mancanza di affidabilità. L’F35 ha bisogno di moltissima e frequente manutenzione, e per questo il più delle volte risulta inutilizzabile (perché di fatto non è fisicamente disponibile). Nel 2021, nello specifico, per più di un terzo del tempo i jet delle forze armate statunitensi sono rimasti a terra. I dettagli di questi problemi, tenuti nascosti a lungo dal Pentagono, sono trapelati a fatica attraverso il Project On Government Oversight, una Ong che opera da organo indipendente di controllo.
Nonostante questo, al momento non sembrano esserci intenzioni da parte dell’Ue di prestare più attenzione agli acquisti militari, sebbene, d’altra parte, continuino ad aumentare i fondi e la disponibilità di denaro pubblico destinati alla difesa dei Paesi membri.
[di Gloria Ferrari]