Il presidente degli Stati Uniti d’America, Joe Biden, ha presentato al Congresso una proposta di bilancio per il 2023 contenente un ampio incremento delle spese militari. Il documento prevede, relativamente alla difesa, un investimento complessivo di 813,3 miliardi di dollari, 60 in più rispetto alla richiesta avanzata da Biden per il 2022. Tra questi, 4,1 miliardi saranno destinati (previo consenso del Congresso) “alla conduzione di ricerche e allo sviluppo delle capacità di difesa”, quasi 5 miliardi verranno impiegati per “un sistema di allerta missilistica capace di individuare minacce globali” e circa 2 miliardi per un “intercettore di difesa missilistica, in grado di proteggere gli Usa dalla minaccia di missili balistici provenienti dalla Corea del Nord e dall’Iran”. Dal 2018 al 2020 l’investimento in armamenti degli Stati Uniti è passato dal 3,32% al 3,74% del Prodotto Interno Lordo, arrivando a circa 778 miliardi di dollari. Nel 2020 la Russia ha dedicato al settore il 4,6% del proprio PIL (+0,9% rispetto al 2018), con una spesa di 61 miliardi di dollari, 13 volte minore di quella statunitense.
In termini assoluti, nel 2020 sono stati spesi nel mondo 1.900 miliardi di dollari (pari a circa 1.700 miliardi di euro) per la difesa. I paesi della NATO, condotti dagli Stati Uniti, hanno coperto circa il 60% della domanda aggregata (1.09 mila miliardi di dollari). Il restante 40% è stato soddisfatto dalla Cina, che nel 2020 ha investito in spese militari oltre 250 miliardi di dollari, circa 20 in più ai Paesi dell’Unione europea considerati come un’unica entità, il cui investimento si è attestato a 232 miliardi. Seguono poi l’India (72 miliardi), la Russia (61 miliardi) e l’Arabia Saudita (58 miliardi). Più distaccate, ma comunque influenti, le spese nel settore effettuate da Giappone, Corea del Nord e Australia, che hanno investito rispettivamente 49, 46 e 28 miliardi di dollari. Dal 1995, il rapporto tra PIL e spesa militare risulta abbastanza costante, con una media mondiale pari al 2,36% (2020). Analizzando i diversi Paesi sulla base di questo dato è possibile intuire quali siano quelli più propensi a investire parte della propria ricchezza nella difesa e quali preferiscano rivolgere le proprie attenzioni ad altri settori. Nel primo caso, si registra la supremazia del Sultanato dell’Oman che, secondo i dati raccolti nel 2020, ha investito il 10,9% del proprio PIL nella difesa militare. Seguono poi l’Arabia Saudita, con una spesa a fronte del PIL di circa l’8,5%, e l’Algeria, che nel 2020 ha dedicato al settore il 6,7% del proprio Prodotto Interno Lordo. Tra i Paesi che, invece, hanno scelto di destinare agli investimenti militari una quota marginale della propria ricchezza spicca l’Islanda, che nel 2020 ha speso lo 0,1% del proprio PIL nella difesa e si distingue per la mancanza di un esercito dal 1869. Seguono poi l’Irlanda (0,2%) e la Papa Nuova Guinea (0,4%).
Per quanto riguarda i Paesi NATO, la percentuale del PIL deputata alle spese militari sembra destinata a lievitare nel prossimo futuro, seguendo così la strada tracciata dall’Alleanza nel 2006, quando i ministri della Difesa degli Stati membri raggiunsero un accordo informale circa la quota da dedicare al settore (2% del PIL). A fine febbraio il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha annunciato di voler aumentare rapidamente la spesa per la difesa, arrivando dall’attuale 1,53% del PIL alla soglia del 2% attraverso un investimento di 100 miliardi di euro. Questa nuova spesa, sommata all’attuale di circa 50 miliardi, farebbe balzare la Germania alle spalle di Usa e Cina in termini di risorse destinate al settore difensivo. Di recente, anche l’Italia ha mostrato la propria volontà ad allinearsi all’accordo, mai ratificato dal Parlamento, del 2006: il 16 marzo la Camera dei Deputati ha approvato infatti un ordine del giorno (O.d.G.) relativo al cosiddetto “Decreto Ucraina”, impegnando il Governo ad avviare l’incremento delle spese per la Difesa dall’attuale 1,4% del PIL verso la soglia del 2%. Secondo il ministro della Difesa Lorenzo Guerini, la direzione presa implicherà un “passaggio graduale” dai circa 25 miliardi di euro l’anno attuali (68 milioni al giorno) destinati al settore ad almeno 38 miliardi l’anno (104 milioni al giorno).
[Di Salvatore Toscano]
Ma cosa dite?
Il governo americano ama così tanto la pace e la democrazia, che si sforza in tutti i modi di diffonderla in tutti i paesi, anche a costo di usare le armi, é solo per questo motivo che si impegnano in giro per il mondo, e le vittime civili di turno, sono solo effetti collaterali per il bene dell’umanità.
QUESTO CRIMINALE STA MOSTRANDO IL VERO VOLTO DEGLI USA:GUERRAFONDAI,INVASORI E ASSASSINI,ALTRO CHE DEMOCRAZIA E LIBERTA’!!
Il bisogno continuo di guerra degli americani per rifinanziare la spesa militare che a sua volta aumenta in una sorta di cane che si morde la coda, mi ricorda l’imperialismo romano, finito il suo predominio militare è venuto giù.
Siamo tristemente ancora vittima di un programma espansionistico della “democrazia” come una volta lo eravamo della “civilizzazione” dei pagàni blasfemi. Spero che la gente si accorga dei corsi e ricorsi altrimenti…