domenica 22 Dicembre 2024

Un uomo paralizzato è riuscito a comunicare grazie a un impianto cerebrale 

Un uomo paralizzato di 36 anni è riuscito a comunicare grazie a un impianto cerebrale che gli ha permesso di esprimere i propri pensieri. Il paziente, affetto da una grave malattia neurodegenerativa, nonostante la completa paralisi causata dalla malattia, è riuscito persino a comunicare con suo figlio. Se infatti l’uomo, affetto da sclerosi laterale amiotrofica più comunemente conosciuta come SLA, inizialmente riusciva a comunicare grazie a un sistema di tracciamento oculare che legge il movimento degli occhi, successivamente ha perso anche la capacità di direzionare lo sguardo.

La SLA è una malattia per la quale non c’è cura e che in pochi anni dai primi sintomi, apporta danni irreversibili ai neuroni che controllano i muscoli volontari, rendendo il malato progressivamente prigioniero del suo corpo. La paralisi interessa gli arti e, nelle fasi più avanzate, gli occhi, mentre spesso non colpisce l’apparato uditivo. Il paziente può quindi sentire ciò che avviene intorno, ma non ha modo di reagire e di esprimere quello che pensa. Difatti, fino a quando chi è affetto da SLA mantiene una minima capacità di muovere gli occhi o un dito di un arto, è possibile creare un’interazione tramite l’uso di pannelli con numeri e lettere per la composizione di parole. Ma se la malattia è agli stadi avanzati, questo non è possibile.

Come in questo caso. Dopo che la paralisi ha colpito anche gli occhi, il team di ricercatori ha deciso di sottoporre l’uomo a un delicato intervento chirurgico, per impiantare nella sua corteccia motoria due array di microelettrodi. Nella prima fase della ricerca gli è stato chiesto di immaginare di muovere alcune parti del corpo, al fine di verificare se i pensieri si traducessero in qualche segnale rilevabile dal computer collegato agli elettrodi. L’interfaccia neurale, però, non è stato in grado di captare alcun input. Pertanto, dopo circa tre mesi dall’intervento, gli esperti hanno deciso di provare un approccio differente basato sul neurofeedback uditivo, una tecnica che permette al soggetto di modulare attivamente la propria attività cerebrale. Al paziente affetto da SLA è stato proposto un tono e poi chiesto di provare a riprodurlo – partendo da un tono diverso -, con la modulazione del pensiero. Il suono cambiava a seconda degli impulsi provenienti dai due elettrodi. Quando il paziente è riuscito a riprodurre esattamente il tono a lui chiesto, immaginando di muovere gli occhi, è stato poi in grado di controllare – e quindi aumentare o diminuire – la propria attività neurale per ottenere due diverse tonalità, un tono più alto per il “sì” e un tono più basso per il “no”.

In un anno circa di sperimentazione, il soggetto è riuscito a incrementare questa capacità, arrivando a comporre parole e frasi. Gli esperti hanno raggruppato le lettere dell’alfabeto in cinque gruppi corrispondenti a cinque colori differenti. Una voce sintetica al computer ha elencato i colori e il paziente ha risposto “sì” o “no”, in base al gruppo a cui faceva parte la lettera che voleva utilizzare. Successivamente la voce ha elencato la sezione lettere del gruppo indicato dall’uomo, permettendogli di scegliere velocemente la lettera desiderata per comporre la parola. In questo modo, il paziente è riuscito a esprimere richieste sulla musica da ascoltare e indirizzare un affettuoso messaggio al figlio: «Voglio bene a quel figo di mio figlio».

Nonostante il sistema non sia ancora disponibile al di fuori della ricerca clinica, i risultati fanno sperare. Non è la prima volta, infatti, che vengono utilizzate interfacce neurali su pazienti con sindrome locked-in (condizione nella quale il soggetto è cosciente e sveglio, ma non può muoversi/comunicare a causa della completa paralisi dei muscoli volontari del corpo), tuttavia non si era ancora riusciti a farlo in uno stato di paralisi completa in cui non si possiede nemmeno il controllo del movimento degli occhi. La riuscita dell’esperimento medico, quindi, confuta la teoria scientifica secondo cui una volta perso completamente il controllo sul movimento fisico, si perderebbe anche la capacità del cervello di generare comandi per la comunicazione.

[di Eugenia Greco]

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