L’Agenas (Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali) ha recentemente rilasciato il suo ultimo rapporto sull’attività libero professionale intramuraria (Alpi), termine che si riferisce alle prestazioni erogate al di fuori del normale orario di lavoro dai medici di un ospedale a fronte del pagamento da parte dei pazienti di una tariffa. Il report nello specifico presenta i dati dei monitoraggi nazionali delle prestazioni prenotate in attività libero professionale nel 2020 e rappresenta uno strumento utile per comprendere quale ruolo l’Alpi (detta anche intramoenia) rivesta all’interno del sistema sanitario nonché quale sia la relazione tra essa e l’attività ordinaria. In tal senso, in 13 regioni su 21 sono state rilevate alcune situazioni in cui il rapporto tra l’attività erogata in regime istituzionale e quella erogata in intramoenia è risultato essere sbilanciato a favore di quest’ultima, rendendo di fatto difficile accedere in tempi ragionevoli a visite attraverso il sistema pubblico, mettendo di fatto i cittadini nella condizione di dover pagare profumatamente per prestazioni che dovrebbero essere garantite.
A livello nazionale, dal report si evince che le prestazioni in intramoenia non siano maggiori di quelle fornite in regime istituzionale. Le percentuali sono molto diverse tra i vari tipi di visita, passando dal 3% delle visite fisiatriche e oncologiche (dove quindi il 97% dei cittadini riesce ad accedere alle visite attraverso il SSN) al 42% delle ecografie ginecologiche. Ma è sulle prestazioni specialistiche che la situazione è più allarmante, queste rappresentano il 78% del totale delle prestazioni in intramoenia. Vero che dal 2019 al 2020 le prestazioni erogate a pagamento sono diminuite, passando da 4.765.345 a 3.204.061, ma il dato non deve ingannare. Nel mezzo c’è stato il generale crollo delle visite occorso durante la pandemia, e infatti sono crollate anche quelle erogate attraverso i canali del servizio nazionale, da quasi 59 milioni a 43,4 milioni.
La ricerca testimonia ancora una volta un quadro si assistenza sanitaria molto diverso tra le regioni italiane. In alcune aziende sanitarie locali è stato addirittura rilevato un rapporto Alpi/istituzionale superiore al 100%: significa che le visite a pagamento hanno superato quelle effettuate attraverso il canale pubblico ordinario. Una situazione particolarmente grave in Lombardia (non a caso regione laboratorio nel processo di privatizzazione della sanità italiana) al punto che la Regione ha deciso pochi giorni fa di intervenire per limitare il fenomeno, con l’assessore alla Sanità, Letizia Moratti, che ha affermato che l’intramoenia deve essere una libera scelta e non l’unica via per ottenere visite in tempi ragionevoli. Peccato che i buoi siano scappati dal recinto da un pezzo.
Non mancano poi casi eclatanti che dimostrano come, in determinate realtà locali, riuscire a ottenere visite in regime di servizio sanitario nazionale sia diventato quasi impossibile. In un’azienda della Regione Sicilia il rapporto Alpi/istituzionale è passato dal 70% nel 2019 al 296% nel 2020″, relativamente alle visite urologiche è stato registrato “un peggioramento in un’azienda marchigiana dal 147% nel 2019 al 228% nel 2020” e relativamente alle ecografie ostetriche e ginecologiche è stato rilevato un peggioramento in un’azienda campana passata dal “507% nel 2019 al 524% nel 2020”.
A tal proposito, una lettura dei numeri riportati è stata offerta da Valeria Fava – responsabile coordinamento politiche della salute di Cittadinanzattiva – ovverosia l’organizzazione che ha contribuito a predisporre le “linee guida per il monitoraggio ex ante delle prestazioni prenotate in Alpi”. «In alcune realtà il rapporto tra prestazioni erogate in intramoenia e nel canale istituzionale (che non deve superare il 100%, ossia per ogni prestazione erogata nel canale intramurario ce ne deve essere almeno una erogata nel pubblico) evidenzia che per i cittadini il ricorso all’intramoenia non è una libera scelta ma una scelta obbligata» ha affermato Fava, sottolineando inoltre che – relativamente al numero minore di prestazioni sanitarie erogate nel 2020 – i dati «confermano la necessità di recuperare quanto è stato sospeso a causa del Covid e la necessità per i cittadini di tornare alle cure ordinarie».
[di Raffaele De Luca]
Il governo ha potere di fare e disfare, non può fare ll Ponzio Pilato dell’occasione, emana leggi e norme, e si deve assumere la responsabilità di quanto accade.
Il SSN dispone di strutture di tutto rispetto, ed spesso il primo contatto tra medici e pazienti, che poi sono “costretti”, a rivolgersi agli stessi privatamente.
Non sarebbe più coerente una separazione delle carriere?
Non è colpa del covid ma di tutti i tagli alla sanità fatti da 20 anni da tutti i governi.
La colpa non è del covi;ma neanche del governo,ma soltanto degli italiani.