I talebani hanno annunciato il divieto di coltivazione di stupefacenti su tutto il suolo dell’Afghanistan, il primo produttore mondiale di oppio. A rendere nota la decisione è stato il leader supremo dei talebani, Haibatullah Akhundzada, dichiarando che in caso di trasgressione e di violazione del decreto «il raccolto sarà immediatamente distrutto e il colpevole sarà processato secondo la legge della Sharia», il complesso di concetti, norme e insegnamenti sacri provenienti dal Corano. La nuova misura è stata annunciata anche durante una conferenza stampa tenutasi a Kabul, dove il ministro dell’Interno ha ribadito come il decreto coinvolga, oltre alla coltivazione, anche l’uso o il trasporto di narcotici.
Per comprendere quanto sia rilevante il settore della droga alla sopravvivenza del Paese basta scoprire che più dell’85% della produzione d’oppio mondiale sia di base in Afghanistan e che i proventi che smuove finanziano circa il 10% del prodotto interno lordo locale. E la tendenza ad affidarsi a questo controverso settore agricolo è in costante salita: nel solo 2020 l’area coltivabile dedicata ai papaveri è aumentata del 37%.
Il controllo della droga è stata una delle principali richieste della comunità internazionale al gruppo islamista, al potere in Afghanistan dall’agosto 2021, per permettere il suo riconoscimento formale e la revoca delle sanzioni. Tuttavia, la misura varata dai talebani ha spiazzato l’opinione pubblica occidentale, nonché la stessa comunità internazionale, perché non in linea con la serie di provvedimenti adottati dal nuovo esecutivo in contrasto con la tutela dei diritti umani. Si ricordi, ad esempio, la decisione risalente allo scorso marzo di non permettere alle ragazze afghane l’accesso all’istruzione secondaria, nonostante il diritto paritetico all’istruzione resti uno dei punti chiave per gli aiuti e il riconoscimento politico dei talebani da parte della comunità internazionale.
La decisione di sospendere la produzione di stupefacenti non è nuova, dato che ricalca la misura intrapresa già durante l’esperienza di governo talebana precedente all’arrivo statunitense. Anzi, bisogna infatti riconoscere che esistono importanti precedenti storici: nel 2000, il Mullah Omar, uomo a capo dei talebani, aveva dichiarato una feroce guerra al settore, praticamente azzerando la produzione di oppio afghana. Produzione che poi riprese a massimo regime nel periodo dell’occupazione americana.
Resta da decifrare quale sia lo scopo della decisione talebana. Di primo acchito potrebbe essere interpretato come un tentativo di provare a ridurre gli attriti con le forze occidentali, puntando quantomeno a una riduzione delle sanzioni. Possibile. Tuttavia le mosse delle ultime settimane da parte del regime afghano lasciano supporre che a Kabul stiano pensando a una diversa collocazione geopolitica. Il 24 marzo scorso, infatti, è giunto in visita nella capitale afghana il ministro degli Affari Esteri cinese, Wang Yi. Mentre la scorsa settimana è stato il ministro degli esteri afghano a volare a Pechino, dove ha incontrato anche il suo omologo russo Sergei Lavrov.
[di Salvatore Toscano]
Gli americani dovranno rifornirsi di oppio da qualche altra parte… dovranno virare verso Birmania o Thailandia.
Tuttavia non credo che i talebani rinunceranno all’oppio… mai visto nessuno che dice di no ai soldi