Il Mose, ovverosia l’enorme sistema di dighe mobili a scomparsa ideato per difendere la città di Venezia e la sua laguna dal fenomeno dell’acqua alta, potrebbe far sparire le “barene”, isolette che rimangono vive proprio grazie alle alte maree che ciclicamente le ricoprono. È quanto si evince da uno studio condotto da un team di ricercatori dell’Università di Padova, di Ca’ Foscari e della Calabria pubblicato sulla rivista scientifica Science Advances, dal quale emerge che se da un lato il Mose serve a proteggere Venezia dall’acqua alta dall’altro potrebbe mettere a rischio queste piccole isole, composte da terra ed acqua salmastra, che ospitano insetti, uccelli e molluschi.
“La riduzione artificiale dei livelli dell’acqua incrementa la risospensione dei sedimenti indotti dalle onde, favorendo la deposizione nel canale a scapito dell’accrescimento verticale delle paludi salmastre”, si legge nello studio, tramite il quale i ricercatori hanno analizzato gli effetti delle prime chiusure del Mose sull’evoluzione morfologica della Laguna. In tal senso, questi ultimi hanno stimato che “a Venezia le prime 15 chiusure delle paratoie mobili di recente installazione, effettuate tra il mese di ottobre 2020 e quello di gennaio 2021, abbiano contribuito ad una riduzione del 12% della deposizione palustre” (ovvero dell’apporto di sedimento sulle barene), favorendo contestualmente un “infilling” (letteralmente un “riempimento”) del canale. Ciò, dunque, indica che la scomparsa delle barene sia possibile, dato che è il ciclo della sedimentazione a farle innalzare sopra il livello del mare permettendo loro di sopravvivere: quando l’acqua si ritira dopo aver in un primo momento ricoperto le barene, infatti, rilascia materiali che sedimentandosi determinano la loro crescita.
Quindi, si legge nello studio, è “necessario adottare contromisure adeguate per compensare questi processi e prevenire perdite significative di diversità geomorfica dovute alle ripetute chiusure di paratoie, la cui frequenza aumenterà con l’ulteriore innalzamento del livello del mare”. Se non si interviene dunque la morfologia della Laguna potrebbe cambiare, motivo per cui non è di certo un caso il fatto che i ricercatori parlino della necessità di trovare un “compromesso tra le esigenze di salvaguardia delle aree urbane dalle inondazioni e di conservazione dell’ecosistema marino”. In tal senso, concludono gli autori dello studio, soluzioni complementari al Mose – come ad esempio “l’innalzamento artificiale dei marciapiedi nei grandi insediamenti urbani della laguna” – potrebbero essere adottate così da “mitigare gli effetti morfodinamici dannosi legati alle ripetute chiusure”.
[di Raffaele De Luca]