Il 26 febbraio, l’uomo più ricco del mondo, Elon Musk, ha segnalato trionfalmente sui social che la sua azienda di connessioni satellitari, Starlink, era già presente sul territorio ucraino per aiutare il popolo invaso. I dischi di ricezione del segnale sono effettivamente stati consegnati il 28, con l’azienda ha fatto sapere che hardware e servizio non sarebbero costati a Kiev neppure un soldo. Non solo, a inizio marzo Starlink ha addirittura inviato un secondo carico di apparecchi, così da sopperire all’eventuale mancanza di connettività che ormai affligge diverse zone del Paese. Il 5 aprile è divenuto chiaro però che le parole di Musk non facessero riferimento a un moto puramente filantropico, ma che l’intero progetto fosse cofinanziato dagli USA, con la United States Agency for International Development (USAID) che ha rivelato ufficialmente di aver coperto i costi di una parte minoritaria della merce in questione, spesando 1.333 delle 5.000 unità consegnate.
Starlink service is now active in Ukraine. More terminals en route.
— Elon Musk (@elonmusk) February 26, 2022
Un’ammissione di partecipazione che dev’essere stata vissuta come un passo falso, visto che l’Agenzia ha velocemente modificato il comunicato stampa per rimuovere ogni riferimento ai quantitativi di merce acquistati con i soldi delle casse governative. Un report intercettato dal The Washington Post ha però approfondito i dettagli che sono stati rimossi dalle fonti ufficiali, suggerendo che gli Stati Uniti abbiano comprato un numero maggiore di impianti di ricezione Starlink rispetto a quelli dichiarati. In ballo ci sarebbero dunque circa 1.500 apparecchi, i quali sono stati acquistati al prezzo di $1.500 l’uno, una somma ben maggiore ai $599 richiesti alla clientela tradizionale.
La discrepanza finanziaria è in verità giustificata dal fatto che Starlink sia solito piazzare il terminale sottocosto, confidando di recuperare la perdita attraverso le spese di servizio, tuttavia le cifre in questione stanno nondimeno destando l’attenzione del pubblico, anche perché la Casa Bianca si sarebbe fatta carico delle spese di trasporto dei cargo diretti a Kiev passando da Varsavia, Polonia. Facendo riferimento a quanto aveva dichiarato USAID, l’assistenza tech all’Ucraina avrebbe un valore stimato sui circa 15 milioni di dollari, 3 dei quali sarebbero stati coperti direttamente dal Governo USA.
Nessuna delle parti coinvolte ha voluto rispondere ai quesiti della testata statunitense, quindi non è chiaro se a una simile donazione abbiano partecipato anche altre entità – pubbliche o private – e se in quei 15 milioni siano conteggiati anche i tre mesi di servizio gratuito promessi dall’azienda, tuttavia la partecipazione di Washington alla manovra non dovrebbe stupire più di tanto. Gli Stati Uniti si sono assicurati attraverso il Defense Experimentation Using the Commercial Space Internet (DEUCSI) la possibilità di sfruttare ai fini militari i dati raccolti e trasmessi dai satelliti privati, quindi il Pentagono non può che trarre giovamento dal fatto che gli Starlink siano stati direzionati su di un’area tanto calda dello scacchiere globale.
Paradossalmente, sono piuttosto gli ucraini a trovarsi per le mani uno strumento che risulta complesso da utilizzare. Il servizio satellitare Starlink rischia di rivelare la posizione delle sacche di resistenza ucraine e il 3 marzo è stato lo stesso Musk a consigliare di avviare il ricevitore solamente quando risulta strettamente necessario, nonché di assicurarsi di tenerlo ben distante dai luoghi abitati. Per usare efficacemente lo strumento è necessario abbandonare il proprio rifugio, allontanarsi il più possibile, imbastire le apparecchiature, inviare e ricevere i dati minimizzando il tempo di connessione, quindi fuggire prima di subire un eventuale bombardamento mirato.
[di Walter Ferri]