giovedì 26 Dicembre 2024

Arte e moda: l’Italia non forma alle sue eccellenze

Italia, luogo ricco di storia, arte e cultura, patria di artisti rinomati in tutto il mondo. Penisola in cui attualmente esistono ben 58 siti inclusi nella lista dei patrimoni dell’umanità, che fa del Bel Paese lo Stato con il maggior numero di siti UNESCO. Eppure, chi nasce e cresce immerso nelle bellezze del territorio italiano, ha serie difficoltà a potere intraprendere percorsi di studio per crearne altrettante o preservare quelle esistenti. Una vera e propria facoltà triennale in Storia dell’Arte sembra essere assente e sostituita da “Beni Culturali”, “Arti visive” e simili, mentre studiare e approfondire le Belle Arti, Arte Drammatica, musica, danza, è spesso una strada considerata dallo Stato stesso come secondaria. La conseguenza è la difficoltà per certe accademie, conservatori, istituti, di sopravvivere dignitosamente. Senza parlare della considerazione a livello sociale di coloro che vorrebbero intraprendere studi relativi al mondo dell’arte. Allora, spesso si ripiega – certo, per chi ne ha la possibilità economica – a centri universitari privati, accademie costose ed elitarie, in cui si ha la sicurezza che “nonostante” la strada scelta si possano avere contatti con aziende, stage mirati, così da non rischiare di divenire “artisti sconclusionati”.

Se l’arte non ha ancora una Università

Mentre in tutta Europa le istituzioni di Belle Arti sono facoltà universitarie a tutti gli effetti, le Accademie di uno tra i Paesi più ricchi dal punto di vista artistico, hanno da sempre seri problemi burocratici, perché idealmente lo studio teorico viene considerato ben più importante del “pratico”. La legge italiana ha riconosciuto lentamente e con difficoltà solo alcuni istituti, portando così gli studenti a incontrare disagi mentre spesso non vengono nemmeno considerati come universitari (conseguenza, tra le altre cose, quella di avere meno tutele e agevolazioni). Dopo anni di studi tanto intensi quanto qualsiasi altra facoltà, gli studenti delle Accademie hanno in mano un diploma piuttosto che una laurea. Un titolo equipollente, lo chiamano, ed è tale solo da pochi anni se messo in comparazione con la storia universitaria in generale. Il “titolo equipollente alla laurea universitaria” esiste dal 1999, quando venne istituito l’AFAM (Alta Formazione Artistica, Musicale e Coreutica). Ci sono voluti vent’anni, poi, affinché il Governo riconoscesse il valore di alcuni percorsi di studio (soprattutto del vecchio ordinamento), anche se ancora manca il riconoscimento dell’equipollenza dei diplomi di corsi di studio sperimentali presi prima del 1999. L’Italia in poche parole, è prima nell’arte ma l’arte in Italia non riesce ad essere una priorità. E molti professionisti nel settore, non hanno i giusti riconoscimenti, e diritti.

I fondi di tante Accademie sono miseri e il corpo docente vacilla in continuazione. I cosiddetti contratti “co.co.co” (Collaborazione Coordinata e Continuativa) dove i docenti non hanno mai reale stabilità tra ritardi e rinvii del MIUR, con un contratto lavorativo imbarazzante. I lavoratori delle AFAM svolgono la stessa mole di lavoro dei docenti ordinari ma sono precari, non hanno congedi parentali tantomeno giorni di malattia. Nessuna maturazione di titoli di servizio, alcun riconoscimento e compenso delle ore extra. Gli studenti e le studentesse ne vivono le conseguenze: da lezioni sospese a corsi che non partono pur pagando tasse anche alte, visti i problemi dei fondi e delle agevolazioni per il settore.

Piccoli e lenti passi avanti

Finalmente nel dicembre 2021 sono stati fatti alcuni piccoli passi avanti, dopo anni che lavoratori e studenti hanno manifestato il loro scontento. L’ampliamento dell’organico è avvenuto dopo una stasi di ben 25 anni, con il decreto interministeriale di riparto del ministero dell’Università e della Ricerca e del ministero dell’Economia e delle Finanze, volto a suddividere 70 milioni di euro previsti dall’art 1, comma 889 della Legge 30 dicembre 2020 n. 178. Ma comunque problematiche come quelle descritte rimangono e il guaio maggiore viene vissuto dagli studenti, costretti a scegliere una professione che dovrebbe essere considerata sia a livello istituzionale che accademico al pari di qualsiasi altra facoltà, ma che fa fatica a essere riconosciuta come tale. Una volta superato l’inghippo della considerazione sociale, un giovane voglioso di “studiare arte” si trova davanti ostacoli e scomodità non indifferenti. Se economicamente in grado, lo studente potrà optare per Accademie private, master e corsi, che spesso chiedono ingenti somme di denaro tanto per l’iscrizione quanto per il continuo degli studi.

Una storia simile viene vissuta da chi vuole entrare nell’industria della moda. E di nuovo, la moda in Italia è risaputo quanta importanza abbia, ma rappresenta un’eccellenza anche questa volta sottostimata. Il tanto osannato made in Italy rimane purtroppo distante per chi vorrebbe, a livello di studi, diventare esperto in materia e lavorare nel settore. Gli artigiani sembrano ormai creature di un passato mitico eppure la moda è un insieme di capacità artigianali, tra le altre cose. Senza parlare quanto essa al pari di arte, musica e cinema rispecchi le evoluzioni culturali e sia una disciplina da valorizzare e alla quale dare dignità. Purtroppo però, anche se negli ultimi anni le cose sono migliorate, studiare moda in Italia non è affatto facile. Poi, il made in Italy non viene valorizzato almeno fino alla scelta della scuola superiore e solo se si frequenta un determinato indirizzo. Invece, come ha suggerito Carlo Capasa, presidenti del CNMI (Camera Nazionale della Moda Italiana), sarebbe bene dedicare almeno un’ora al made in Italy anche alle scuole secondarie di primo grado. Anche perché la mente creatrice di capi d’abbigliamento e accessori, il cosiddetto “stilista” nasce, come figura, in Italia, patria di moltissimi talenti e attenti professionisti.

Una formazione ancora classista

Tuttavia, solo dall’inizio degli anni duemila è stato possibile comprendere l’importanza di una formazione scolastica per chi è interessato e voglioso di entrare nel settore. Così ora esiste una fitta rete di scuole di moda sul territorio, che specialmente negli ultimi anni sta registrando un incremento significativo. Esistono non solo istituti privati ma anche pubblici, che allettano sempre più i giovani sia per il tasso di occupazione futuro che per un percorso davvero legato al territorio, a livello di artigianalità e manifattura. La formazione professionale sta finalmente guadagnando spazio dopo che per anni è sembrata atterrata da quella universitaria “propriamente detta”. Il problema però, è sempre legato alla difficoltà nel trovare corsi triennali riconosciuti dal MIUR che comunque rimangono titoli “equipollenti” alla laurea. Nonostante esistano validi corsi di laurea nelle università pubbliche, come all’Università di Bologna, il Politecnico di Milano, IUAV, per dirne alcuni, le scuole italiane di riferimento rimangono quelle private, che hanno guadagnato il primo posto nella formazione pratica. Ma gli istituti d’eccellenza come il Marangoni, lo IED, il Polimoda e la Naba non sono certo accessibili a tutti. Anzi, ad accedervi è solo una élite. Per quanto esistano aiuti economici e borse di studio, le scuole private rimangono impossibili da considerare per tanti. Rette universitarie che arrivano fino a 20.000 euro all’anno, ma promettono una formazione eccellente e una connessione reale con svariate aziende. Insomma, è come se si investissero ingenti somme di denaro per assicurarsi un posto di lavoro futuro in un settore tanto competitivo.

Ma perché soprattutto le private hanno una nomina tanto positiva a livello di formazione e inserimento lavorativo? Una difficoltà da considerare riguarda la reale competenza degli insegnati all’interno dei corsi pubblici: la scelta dei docenti avviene attraverso i concorsi ministeriali a cui possono partecipare solo i laureati abilitati all’insegnamento. In questo modo vengono spesso escluse figure professionali che sarebbero un esempio essenziale per mostrare e dimostrare la realtà lavorativa del settore. Gli istituti privati vantano invece un personale docente composto quasi sempre da professionisti immersi nel mondo della moda, e ciò fa la differenza.

Al momento, il Governo italiano non è ancora stato disposto a dare vero valore alla formazione sul mondo della moda, nonostante esso sia uno dei settori che – anche a livello economico – arricchisce il paese. Il motivo alla base potrebbe anche essere culturale, visto quanto la moda sia considerata – in maniera erronea – come lontana, quasi superficiale, ludica, inaccessibile. In Italia purtroppo si tende ancora oggi a considerare la moda come un lusso e non vicina e parte integrante della cultura. Se le istituzioni rimangono tanto distanti dalla formazione di professionisti del settore, ci si dimentica di quanto la moda sia strategica e importante non solo economicamente; la fama e l’amore, la qualità e l’importanza del made in Italy sia ancora alta, nonostante solo ultimamente si stia ritrovando amore per alcune occupazioni tecniche e artigianali, spesso considerate anch’esse di serie B. Eppure, per studiare nella seconda divisione serve essere molto comodi economicamente, anche se l’accesso a qualsiasi percorso di studi, non dovrebbe mai essere caratterizzato da differenze economiche e sociali.

[di Francesca Naima]

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