domenica 22 Dicembre 2024

L’interessata battaglia “pacifista” degli USA contro le armi antisatellitari

Fa strano pensare che gli USA si facciano promotori di un’iniziativa di smilitarizzazione, eppure la Vicepresidente degli Stati Uniti Kamala Harris ha rivelato al mondo intero che gli Stati Uniti cesseranno ogni test relativo alle armi missilistiche antisatellitari (ASAT). Non solo, la diplomatica ha chiesto che le nazioni tutte si impegnino a discutere nuove leggi atte a imporre un «comportamento responsabile nello spazio». Sebbene il ridimensionamento della corsa alle armi sia sempre da accogliere a braccia aperte, sarebbe però ingenuo leggere le mosse di Washington come un atto pacifista dettato da meri scrupoli di coscienza.

Facciamo un passo indietro. Nel novembre del 2021 il Cremlino ha lanciato nello spazio un ordigno puntato in direzione di un satellite dell’era sovietica, ormai obsoleto. Nonostante Mosca abbia offerto rassicurazioni asserendo che l’operazione fosse comparabile a un servizio di rottamazione, la manovra si è prestata a una lettura cupamente bellica, assumendo le sembianze di una prova di forza. Pur sorvolando sulla prospettiva puramente politica dell’accadimento, l’episodio ha però ricordato agli osservatori le insidie a cui si legano i missili ASAT, armi il cui uso è apertamente criticato dagli Stati Uniti, dalla NATO e dall’Unione Europea. Per quanto l’idea ufficialmente espressa dalla Russia fosse infatti quella di frammentare lo strumento in pezzi che sarebbero poi dovuti poi ricadere sulla Terra incenerendo nell’atmosfera, l’impatto ha nondimeno generato detriti che sono rimasti in orbita – almeno 1.500, denunciano gli USA – e che rappresentano ora una minaccia concreta all’attività umana nello spazio.

L’orbita terrestre bassa, quella più sfruttata, è ormai sempre più popolata da satelliti e ciarpame di varia natura, con il risultato che ogni singolo oggetto privo di controllo, per quanto minuscolo, può trasformarsi in un proiettile vagante capace di causare danni immensi, danni che a loro volta possono dar vita a nuovi detriti in un circolo vizioso che, nel peggiore dei casi, potrebbe obbligarci a dire addio ai viaggi spaziali, e ai servizi satellitari, riportandoci tecnologicamente ai tempi della SIP. Al pari delle testate nucleari, anche gli ASAT vengono dunque considerati un pericoloso deterrente, più che un’arma vera e propria, tuttavia questa consapevolezza non aiuta a dormire sonni tranquilli.

Quello che non ha esplicitato Harris è il fatto che l’esopolitca sia incastrata in una fase di stallo in cui le varie parti si bilanciano asimmetricamente per assicurarsi che sia preservato lo status quo. Gli USA hanno istituito un esteso network satellitare, militare e commerciale, tuttavia il dominio spaziale statunitense viene tenuto in scacco dal fatto che Cina e Russia, sostiene l’Intelligence americana, abbiano sviluppato gli ASAT al punto di raggiungere la capacità operativa iniziale (IOC). Normare i missili antisatellitari, quindi, non contribuirebbe troppo ad attenuare la militarizzazione dello spazio, piuttosto impedirebbe agli avversari di Washington di fare affidamento su una leva politica molto potente e relativamente accessibile.

Approfittando del legittimo orrore umano rappresentato dalla guerra, gli Stati Uniti stanno spingendo perché tutti gli alleati si impegnino a «mettere pressioni» su Cina e Russia, così che le due nazioni si trovino costrette a seguire l’esempio americano o a essere etichettate «come coloro che potranno potenzialmente causare futuri incidenti legati ai detriti, i quali finiranno con il danneggiare tutti». Una pretesa corretta, ma che dovrebbe essere bilanciata da una regolamentazione altrettanto rigida della militarizzazione orbitale, così che l’intervento sia mirato a garantire un equilibrio pacifico e non all’istituzione di un ennesimo monopolio americano.

[di Walter Ferri]

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